sabato 1 settembre 2018
L'esito della battaglia, ormai scontato, peserà sui negoziati che disegneranno il futuro della Siria
Il villaggio di Kafr Nabuda nella provincia di Idlib: l’ultima roccaforte ribelle (Ansa)

Il villaggio di Kafr Nabuda nella provincia di Idlib: l’ultima roccaforte ribelle (Ansa)

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In Siria si avvicina l’offensiva finale per espugnare l’ultima roccaforte dei ribelli, nella provincia settentrionale di Idlib. L’esito della battaglia, ormai scontata, peserà sui negoziati che determineranno il futuro assetto della Siria e la relativa spartizione del Paese in aree di influenza. Il governo di Bashar al-Assad e il suo alleato russo considerano la provincia in questione «un focolaio di terroristi» da debellare al più presto, e hanno ammassato per farlo tra i 100.000 e i 150.000 uomini in vista di quella che si annuncia come una campagna ancor più sanguinosa di quelle per la riconquista di Aleppo e della Ghouta orientale, alla periferia di Damasco.

Di fronte a loro, si schierano diverse sigle di ribelli tra cui spiccano gli uomini del Fronte di liberazione nazionale (Fln), una coalizione di quindici gruppi ribelli nata lo scorso maggio e sostenuta dalla Turchia, ma anche i jihadisti di Hay’at Tahrir al-Sham, l’ex Fronte al-Nusra, costola siriana di al-Qaeda, che conta circa 10mila affiliati tra cui molti stranieri. Secondo alcune indiscrezioni, il Fln sarebbe in trattativa con Mosca, che intende evacuarli per concentrare l’assalto contro i jihadisti ed evitare pericolose frizioni con Ankara. Il ministero degli Esteri russo ha annunciato colloqui per una soluzione pacifica con il capo della delegazione dell’opposizione siriana, Nasr Hariri.

Ieri, i ribelli hanno fatto esplodere due ponti nel tentativo di ostacolare la possibile offensiva dei governativi. I ponti, che collegavano la provincia di Idlib a quella di Hama, erano situati nella pianura di al-Ghab, che potrebbe essere uno dei primi obiettivi dell’attacco. Stato d’allerta anche in Turchia, che ha esteso negli ultimi anni il suo “protettorato” sulla provincia. Determinata a dire anch’essa la sua sul futuro assetto della Siria settentrionale, Ankara ha rafforzato la sua presenza militare nella zona con l’invio di altri uomini e blindati. Un motivo di grande preoccupazione Erdogan è il fatto che centinaia di migliaia di persone si troveranno senza vie d’uscita concrete, con l’unica possibilità costituita da un esodo verso il confine turco. La settimana scorsa il ministro degli Esteri turco, Mevlut Cavusoglu, aveva avvertito il Cremlino che un attacco diretto a Idlib si sarebbe risolto in «una catastrofe». Anche l’inviato speciale delle Nazioni Unite per la Siria, Staffan de Mistura, ha ribadito due giorni fa da Ginevra l’allarme sul rischio di una «catastrofe umanitaria» e ha chiesto l’apertura di un corridoio per evacuare i civili.

La sorte dei civili

«Francamente – ha aggiunto l’inviato dell’Onu – sarebbe una tragica ironia se quasi alla fine di una guerra territoriale all’interno della Siria dovessimo assistere alla tragedia più orribile, con il maggior numero di civili». L’area interessata dalla prossima operazione militare è abitata da quasi tre milioni di persone, la metà delle quali sono ribelli o civili trasferiti in massa da altre zone riprese dalle truppe siriane dopo violenti combattimenti.

Ma non c’è solo l’ammassamento di truppe di terra. Nel Mediterraneo orientale, di fronte alle coste siriane, si assiste a una concentrazione senza precedenti di navi da guerra russe e americane: oggi comincialo le manovre russe che dureranno una settimana. L’escalation sul campo lascia pensare che l’offensiva contro Idlib verrà lanciata senza aspettare il vertice trilaterale dei grandi attori della crisi siriana: Russia, Iran e Turchia. Vladimir Putin, Hassan Rouhani e Recep Tayyip Erdo- gan hanno in programma di vedersi a Teheran (non più a Tabriz) il 7 settembre. Sul vertice plana lo spettro di un nuovo attacco chimico.

La «messinscena»

Da giorni gli Stati Uniti, la Francia e la Gran Bretagna mettono in guardia Damasco dal fare uso di armi chimiche contro i civili, mentre Mosca ammonisce da una «messinscena» dei terroristi con l’obiettivo provocare l’intervento occidentale.

Il portavoce del ministero della Difesa russo, Igor Knashenkov, aveva asserito che gli uomini della ex al-Nusra stessero preparando un attacco chimico per poter poi accusare il regime di Assad di essere il responsabile e usarlo per giustificare l’intervento occidentale contro Damasco. Secondo Knashenkov, i jihadisti hanno trasferito «otto cisterne di cloro» nella città di Jisr al-Shughur per «simulare » l’attacco. Ieri il portavoce del Fln ha detto che l’esercito di Assad ha trasferito sostanze chimiche nei villaggi di Hama, in vista dell’offensiva. «Dopo un accurato monitoraggio delle aree sotto il controllo del regime, ha detto Naji Abu Huthaifa, possiamo confermare che dieci veicoli dell’esercito (di Damasco) hanno trasportato un carico di fusti contenenti sostanze chimiche». Da parte sua, il ministro degli Esteri siriano Walid al-Muallim è tornato a evocare il complotto americano-britannico-francese contro la Siria, affermando che questi Paesi sostengono i «terroristi». Ma a Idlib, ha avvertito, «noi andremo fino in fondo».

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