giovedì 21 aprile 2022
Condannata per l’uccisione della sua bimba di 2 anni, Melissa Lucio, madre di 14 figli, ha scritto a papa Francesco a pochi giorni dall’esecuzione in Texas
«Anche in questa cella, provo pace perché so di essere stata perdonata e amata dal mio Signore. Lui conosce ogni cosa  e questo mi consola»

«Anche in questa cella, provo pace perché so di essere stata perdonata e amata dal mio Signore. Lui conosce ogni cosa e questo mi consola»

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«Credo nella giustizia di Dio ma non capisco come la mia morte ristabilirebbe quella umana. Causerebbe solo altro dolore a quanti dovrò lasciare. Ai miei figli che già hanno sofferto oltre ogni immaginazione: dopo aver perso la sorella, ora perderanno anche la loro madre. La mia morte non riporterà indietro la mia Mariah. Darei la mia vita per riabbracciarla un solo istante. Ma non è possibile».

Chiusa nella cella del braccio della morte del carcere di Mountain View, a Gatesville, Melissa Lucio ripete spesso queste parole.

Le stesse che poco più di un mese fa ha messo nero su bianco e inviato a papa Francesco. Le dà conforto avergli aperto il proprio cuore.

Sente di poter affrontare con un po’ meno angoscia questo tempo sospeso nell’attesa della propria esecuzione. È fissata per il 27 aprile. A meno di una svolta all’ultimo istante, sarà la prima donna latinoamericana sottoposta alla pena capitale in Texas. i difensori e gli attivisti non mollano e continuano la mobilitazione per fermare il boia.

Finora, però, sia la Procura sia il governatore, George Abbott sono apparsi irremovibili. Eppure sono molti i punti controversi nella vicenda giudiziaria di questa mamma di 14 figli di origine messicana, condannata nel 2008 con l’accusa di aver ucciso la figlia di 2 anni. Mariah appunto.

Melissa ripete da quel tragico 17 febbraio 2007 che la piccola è morta per le ferite riportate nella caduta dalle scale durante un trasloco, due giorni prima. Per la Procura, invece, la bimba sarebbe stata pestata selvaggiamente. La riprova sarebbero i lividi trovati sul corpo. Mariah, però, soffriva di un problema di coagulazione che avrebbe potuto spiegare gli ematomi. I legali hanno più volte ripetuto che sul giudizio nei confronti della donna avrebbero influito la povertà estrema, gli abusi subiti dalla famiglia e, poi, dal marito, il passato di dipendenza da droghe.

«Per molti anni mi sono sentita senza speranza, vuota e perduta. E soprattutto sola. Ho fatto molti errori e porto il grande fardello delle colpe che ho commesso. Una parte di me ritiene di non meritare di vivere», scrive Melissa al Papa. È il pensiero dei suoi figli a farla andare avanti.

«So di avere fatto molto male anche a loro. Il mio cuore e il mio spirito erano in frantumi quando il Signore mi ha trovato. Ho sempre creduto in Dio ma a quel tempo non riuscivo a sentire il suo amore. L’ho implorato, ho mendicato la sua misericordia, il suo sostegno, la sua forza. Non potevo farcela da sola». In soccorso è arrivato il diacono Ronnie che assiste spiritualmente la detenuta.

«Sebbene il cammino non sia stato facile, ho trovato forza in Dio. Lui mi ha aiutato a riavvicinarmi ai miei figli e agli altri. Vorrei che sapessero che Dio li ama. Ci ama tutti e ci esorta a condividere questo amore con quanti incontriamo. Ho cercato di correggere quanto poteva essere corretto. Non da sola, però. È stato Dio ad aiutarmi, realizzando piccoli-grandi miracoli. Ha curato il cuore di mio figlio John e gli ha fatto abbandonare la gang a cui apparteneva».
«Ho messo al mondo 14 esseri umani. Ciascuno di loro è un dono di Dio. Prego per loro ogni giorno e lo supplico di stringerli con le sue braccia. Molti di loro soffrono ancora a causa dei miei sbagli. Ma non perdo la speranza», prosegue Melissa. E conclude: «Anche in questa cella, provo pace perché so di essere stata perdonata e amata dal mio Signore. Lui conosce ogni cosa e questo mi consola».

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