martedì 2 novembre 2021
Intesa fra 105 Paesi: stop al disboscamento entro il 2030. Firmanoi anche Russia, Cina e Brasile. Ma si teme un impegno di facciata. Taglio del 30% in 20 anni delle emissioni del gas
Un’ampia zona di deforestazione nella regione amazzonica, vicino a Porto Velho, in Brasile

Un’ampia zona di deforestazione nella regione amazzonica, vicino a Porto Velho, in Brasile - Reuters

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Salvaguardia delle foreste e riduzione delle emissioni di metano. Sono questi i primi due passi in avanti mossi a Glasgow, ieri, dai governanti intervenuti alla Conferenza Onu sul clima (Cop26). Il doppio annuncio è arrivato a neppure 24 ore dalla cerimonia di apertura della kermesse. Fuori e dentro il campus che ospita l’evento si fa tuttavia fatica a respirare ottimismo. La partita che i leader del mondo si stanno giocando sulle rive del fiume Clyde, secondo le associazioni anche a colpi di annunci di facciata, è appena cominciata.

La portata dell’accordo contro la deforestazione e lo sfruttamento incontrollato della terra non è banale, almeno sulla carta: sono 105 i Paesi che si sono impegnati a porre fine entro il 2030 all’abbattimento delle grandi distese di alberi che, a ogni latitudine, fanno respirare il pianeta. Dell’intesa fa parte anche l’impegno a ripristinare i fragili ecosistemi provati da decenni di disboscamento e a sostenere, anche dal punto di vista finanziario, le comunità indigene che ne fanno parte, spesso "costrette" a rendersi complici degli abbattimenti per fare largo a coltivazioni intensive di prodotti, come caffè, cacao e olio di palma nelle aree tropicali, destinate ai mercati delle grandi città.

Tra i firmatari, dettaglio di non poco conto, ci sono pure governi, come Cina, Russia e Brasile, che hanno sempre adottato un approccio "tiepido" alla causa climatica. Secondo gli osservatori, per esempio, l’adesione del Cremlino è solo un escamotage per annacquare nell’interventismo a favore delle foreste la resistenza a ridurre in altro modo le emissioni da combustibili fossili, altro nodo cruciale di Cop26. Anche l’inattesa partecipazione del Brasile è vista con scetticismo considerato il noto supporto del presidente Jair Bolsonaro all’inteso sfruttamento dell’Amazzonia. L’uscita di ieri, spiega un giornalista brasiliano a Glasgow, sintetizza «la contraddizione tra la buona volontà della diplomazia di Brasilia e il totale disinteresse del governo».

L’impegno economico preso dai Paesi firmatari dell’intesa ammonta a circa 12 miliardi di dollari. «Una frazione minima di quello che è necessario», ha denunciato Greenpeace International. Gli Stati Uniti Usa hanno promesso 9 miliardi; la Commissione Europea ne ha previsto uno, più un fondo da 250 milioni specifico per il bacino del Congo. È previsto che una parte di questi fondi, almeno 1,7 miliardi, venga destinata alle popolazioni indigene, i "custodi" delle foreste tropicali come delle conifere artiche, i cui rappresentanti sono stati ricevuti ieri dal presidente di Cop26, il britannico Alok Sharma, messo in guardia dai diretti interessati – indigeni di Africa, Oceania, Sudamerica e Nord America – sul meccanismo di distribuzione degli stanziamenti annunciati. «Fateci partecipare a ogni singola fase dell’assegnazione, non lasciatela solo ai governi centrali – ha chiesto Oumarou Ibarhim, attivista arrivata in Scozia dal Chad – noi sappiamo come fare e cosa fare, meglio di chiunque altro, non chiamateci a partecipare solo a consessi internazionali e formali come quello di Cop26».

L’altro passo avanti riguarda la riduzione delle emissioni di metano. Stati Uniti e Unione Europea hanno lanciato ufficialmente il "Global Methane Pledge", iniziativa che punta ad abbattere le emissioni di questo gas del 30% in vent’anni e a migliorare attraverso l’adozione di applicazioni tecnologiche la quantificazione delle emissioni. Secondo gli scienziati questa misura potrebbe contribuire a evitare un innalzamento delle temperature di 0,3 gradi entro il 2040, cosa che concorre a mantenere la soglia del riscaldamento globale al di sotto dei 1,5 gradi. Le stime del Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (Unep) spiegano che l’azione promossa da Washington e Bruxelles potrebbe evitare in maniera indiretta oltre 200mila morti premature, centinaia di migliaia di visite al pronto soccorso legate all’asma e oltre 20 milioni di tonnellate di perdite di raccolto.

L’hanno appoggiata un centinaio di Paesi che rappresentano il 70% dell’economia globale, ma non i grandi emettitori di metano come Russia, Cina e India. Il titolare della Casa Bianca, Joe Biden, ha parlato dell’iniziativa come di «una delle cose più importanti da fare in questo decennio». Entro la fine dell’anno, l’esecutivo comunitario ha annunciato al riguardo provvedimenti normativi per migliorare le rilevazioni delle emissioni e imporre obblighi sulla riparazione delle perdite degli impianti di produzione

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