sabato 18 novembre 2017
Gli istituti della Montaña Baja dello Stato di Guerrero sono vuoti dal 12 ottobre per «ordine» delle bande: minacciano e si contendono il business dell’eroina
Poliziotti messicani schierati all’ingresso di un istituto tecnico di Chilapa, nello Stato Guerrero

Poliziotti messicani schierati all’ingresso di un istituto tecnico di Chilapa, nello Stato Guerrero

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La scuola inizia alle 8. Ad annunciare l’arrivo dell’insegnante a Juan non è, però, il suono della campanella, bensì il “bip” prolungato del cellulare. Il ragazzino sfiora con le dita l’icona di WhatsApp e legge: «Buon giorno, prendete il libro a pagina 21». Juan obbedisce. Lo stesso fanno i compagni, ognuno chiuso nella propria casa.

Dal 12 ottobre, per oltre 60mila studenti di Montaña Baja, cuore rurale e povero del Guerrero, le lezioni si fanno così, attraverso i vari sistemi di messaggeria istantanea o i social network. Non c’è altra scelta. L’ordine dei narcos è stato tassativo: gli istituti devono restare chiusi. I primi messaggi sono stati recapitati a genitori e docenti via Facebook alla fine di settembre. Poi, sono giunti direttamente sul telefono. A quel punto, vari istituti hanno cominciato a chiudere i battenti. A convincere i restanti, la strage di autisti dei bus, assassinati al ritmo di tre alla settimana, su cui gli insegnanti si spostavano da una sperduta comunità all’altra per la Montaña Baja. Il 12 ottobre, infine, decine di uomini armati hanno assaltato, uno dopo l’altra, le scuole di Chilapa, il principale omicidio della regione. Da allora, le classi sono sospese in tutti i municipi.

Perfino il governo ha dovuto ammettere l’emergenza. Il ministero dell’Educazione, però, parla di un «problema» circoscritto a 98 strutture, con un bacino di 6mila alunni. Secondo i genitori sono oltre dieci volte tanto: circa 63mila, per un totale di almeno 650 edifici sprangati. Non è la prima volta che le classi diventano fronte della guerra, in atto da oltre dieci anni in Messico. Mai, però, il fenomeno aveva raggiunto tale estensione.

La chiusura delle scuole è un effetto collaterale del “salto di qualità” nello scontro tra Los Rojos e Los Ardillos, i due gruppi di narcotrafficanti che si contendono il fiorente business dell’oppio nella regione. Le coltivazioni di papaveri nel Guerrero sono cresciute esponenzialmente in risposta i minori ricavi per la marijuana, legalizzata in alcuni Stati Usa.

L’incremento della domanda – come accade nel caso delle droghe – ha prodotto l’aumento del consumo di eroina: Washington ha appena dichiarato l’emergenza sanitaria. La frammentazione delle vecchie mafie, però, ha fatto saltare gli equilibri criminali. Mentre – come vari analisti sostengono – l’avvicinarsi delle elezioni del 2018, rischia di scompaginare le rispettive reti di corruzione, grazie alle quali i narcos esercitano il loro potere. Nel Guerrero sono scomparsi i 43 studenti, consegnati, secondo la versione ufficiale, dalla polizia ai trafficanti. L’urgenza di “regolare i conti” ora ha prodotto una guerra senza quartiere fra le due bande. Per vincerla, non è più sufficiente assicurarsi il controllo dei “corridoi d’esportazione”: è necessario dominare il territorio e la sua popolazione. E il terrore è l’arma più efficace.

Vi è, però, anche un’altra ragione. Per evitare “infiltrazioni” del nemico, i narcos cercano di limitare il flusso tra le varie comunità e l’esterno. I docenti – ridotti in numero e costretti a fare la spola tra i vari istituti – sono considerati potenziali spie. Da tenere lontano. Ne sanno qualcosa gli insegnanti di Zitlala che, il 6 novembre, avevano provato a ricominciare le lezioni. Immediatamente, i loro cellulari sono stati inondati di messaggi minatori.

Le classi sono state interrotte. «È pericoloso anche continuare il lavoro via web: pensano che chiediamo informazioni ai ragazzi», afferma una docente che chiede di restare anonimo. Il governo regionale ha schierato i militari a difesa dei bus e delle scuole. Genitori e maestri, però, non si fidano. E Juan continua a ricevere lezioni via WhatsApp.

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