sabato 7 ottobre 2017
Otto gruppi italiani nell'Ican contro le atomiche. Vignarca (Rete Disarmo): «Scelta forte: l’abolizione armi nucleari è un tema non gradito a molti». Santi (Senzatomica): ora Roma cambi idea
Il Nobel anti-nucleare parla (anche) italiano: chi sono i vincitori
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«È una bella iniezione di energia. Anzi, splendida». Francesco Vignarca non si ferma dalle 11 in punto di ieri. A quell’ora, il presidente di Rete Disarmo – una delle otto Ong italiane che aderisce all’International campaign against nuclear weapons (Ican) – era di fronte al pc, sul sito del Comitato di Oslo. Ha ascoltato, dunque, in diretta l’annuncio del conferimento del Nobel per la pace alla Campagna. «Prima ho lanciato un grido, poi mi sono messo a scrivere il comunicato. È il momento di mettercela tutta», racconta ad Avvenire.

IL DOSSIER DI AVVENIRE SULLA MESSA AL BANDO DELLE ARMI NUCLEARI

«È come il giorno della laurea – gli fa eco Daniele Santi, presidente di Senzatomica, altra associazione della rete –. Provo la stessa sensazione: felicità per il traguardo raggiunto e voglia di mettermi al più presto in gioco nel mondo del lavoro». Entrambi, Vignarca e Santi, erano a New York esattamente tre mesi fa per la seduta conclusiva della Conferenza Onu sul bando alle armi nucleari. Quel 7 luglio, 122 Paesi hanno deciso di creare uno strumento giuridicamente vincolante per vietare le testate. «Non so se ero più emozionato allora o stavolta », prosegue Vignarca.

Di certo, il Nobel era ancor meno prevedibile dell’approvazione del trattato. Le potenze atomiche hanno fatto di tutto per boicottarlo. «Il Comitato del Nobel ha avuto coraggio. L’abolizione delle armi nucleare è un tema controverso, non gradito a molti», sottolinea il presidente di Rete disarmo, organizzazione nata nel 2004 e affiliata a Ican fin dalla nascita di quest’ultima, tre anni dopo. «Qualche giorno fa, Beatrice Fihn ci ha inviato delle foto delle prime riunioni. Scrivevamo le idee su grandi cartelloni, per studiare le modalità di azione. Ne abbiamo fatto di strada... Non è stato facile. Spesso il pacifismo viene considerato una romantica utopia. Ican ha, però, inaugurato una nuova modalità d’azione più efficace e flessibile: il lavoro in rete consente maggior incidenza sulla realtà locale. Purtroppo, a parte eccezioni che sono da sempre al nostro fianco in questa battaglia, in pri- mis Avvenire, ai media, attirati dalla notizia “mordi e fuggi”, non interessa il lavoro lento e costante per la pace ».

La Rete Disarmo

La società, invece, è molto sensibile al tema. «Lo abbiamo toccato con mano», afferma Santi. Nei sei anni e mezzo di lavoro di Senzatomica – iniziativa promossa dall’Istituto buddista italiano Soka Gakkai –, 325mila persone, di cui un quarto studenti, hanno visitato la mostra, allestita in 71 città, per creare una sensibilità a favore di un mondo senza testate. C’è, però, ancora molta strada da fare. Per i partener italiani di Ican, l’obiettivo più immediato è convincere l’Italia – che non ha partecipato alle Conferenze per l’approvazione – a ratificare il trattato del 7 luglio. A tal fine, Rete Disarmo e Senzatomica hanno lanciato la mobilitazione «Italia ripensaci». «È un peccato che la nostra non sia fra le 53 nazioni che hanno sottoscritto il trattato. È fondamentale, in tal senso, la pressione della società civile», afferma Maurizio Simoncelli di Archivio Disarmo. «È un sogno che si sta avverando », dice Michele Di Paoloantonio, presidente dell’Associazione italiana medicina per la prevenzione della guerra nucleare. Vignarca, Santi, Simoncelli e Paoloantonio sono unanimi nel ringraziare papa Francesco per aver levato, in numerose occasioni, la voce contro il proliferare delle testate.

Il Pontefice ha inviato anche un messaggio alla prima parte della Conferenza Onu, il 28 marzo scorso, esortando le nazioni «a lavorare con determinazio-ne » per un mondo «senza armi nucleari ». E la Santa Sede è uno dei tre Stati che hanno fià firmato e ratificato il patto. Il Nobel all’Ican ha suscitato l’entusiasmo di molte realtà cattoliche impegnate da sempre per il disarmo. «È un messaggio chiaro: mettiamo fuori legge le testate», dice Flavio Lotti di Tavola della Pace. «È una gioia per tutti», aggiunte Paolo Ramonda, presidente della Comunità Giovanni XXIII.

La leader, Beatrice Fihn

Per prima cosa, invece, Beatrice Fihn si affretta a ringraziare «i milioni di attivisti che, pacificamente, hanno alzato la loro voce negli ultimi dieci anni contro le armi atomiche. E i superstiti di Hiroshima, Nagasaki e dei test nucleari», dice la direttrice esecutiva dell’International campaign against nuclear weapons (Ican), Beatrice Fihn. Per l’intera giornata, il quartier generale della rete, a Ginevra, è stato invaso da amici, sostenitori, giornalisti. I “vertici” di Ican non sono abituati a un simile affollamento. Non perdono, però, la cordialità. Dopo l’incredulità iniziale, Fihn incontra i reporter nell’edificio del Consiglio mondiale delle Chiese, partner di Ican. «Sono molto emozionata», dice a mo’ di scusa. «È un grande onore essere premiati per la battaglia che abbiamo portato avanti per arrivare al divieto delle armi atomiche. L’Assemblea generale lo ha fatto lo scorso 7 luglio, un giorno storico. In un momento in cui la minaccia nucleare incombe con prepotenza, il Trattato approvato offre un’alternativa al mondo per uscire dalla crisi, rendendo illegali le testate», afferma Fihn. E aggiunge: «Ogni arma atomica esistente è un rischio per la sopravvivenza dell’umanità e del pianeta». Il Premio dà un forte stimolo all’Ican per continuare la lotta. Il 20 settembre, sono cominciate le sottoscrizioni del patto, firmato al momento da 53 Paesi dei 122 che l’hanno sostenuto.

Fihn, dunque, lancia un forte appello alle altre nazioni perché aderiscano all’iniziativa: «Ora più che mai è il momento di avere coraggio. Alcuni Stati sostengono che le testate sono legittime per scoraggiare i rivali. Questa posizione è sbagliata e pericolosa. Il principio della deterrenza non fa che favorire la proliferazione atomica. Per questo dico a ogni nazione che abbia a cuore la pace di firmare subito il trattato del 7 luglio. Il disarmo non è un sogno irrealizzabile. È una necessità impellente per il bene dell’umanità».

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