martedì 10 ottobre 2017
Alle 19 a Barcellona il discorso del presidente separatista Puigdemont. Rajoy aveva detto: pronte le manette. Ma ora dovrà decidere se accettare il dialogo o procedere sulla linea intransigente
Catalogna,il presidente Puigdemont in Parlamento: indipendenza sospesa
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La Catalogna "sospende la dichiarazione di indipendenza per avviare il dialogo, perché in questo momento serve a ridurre la tensione. Lo ha detto il presidente catalano Carles Puigdemont nel suo intervento al Parlamento di Barcellona. Ha così scelto la via del dialogo, rimandando l'avvio delle procedure per la separazione dalla Spagna. A questo punto la palla passa all'altra parte. Sarà il premier spagnolo Rajoy a dovere decidere se aprire un confronto o andare avanti con la linea intransigente. Per stasera era già stato convocato il parlamento di Madrid.

Attesa, preoccupazione, tensione. Ecco Barcellona e la Catalogna in queste ore mentre si attendeva il discorso del presidente catalano Carles Puigdemont, inizialmente previsto per le 18, poi slittato di un'ora circa. È stata convocata una riunione dell'ufficio di presidenza dell'assemblea e lo stesso Puigdemont pare si sia consultato con varie personalità e che ci siano stati contatti con mediatori internazionali. Ma da parte di Madrid si procede con la linea dura: nessuna trattativa, nessun dialogo. Non solo: le forze di sicurezza spagnole hanno rafforzato le misure di sicurezza in tutte le infrastrutture ritenute critiche della Catalogna, dagli aeroporti a alle centrali nucleari. Secondo fonti del ministero dell'Interno di Madrid si tratta di "mantenere" un dispositivo di sicurezza di fronte alla offensiva separatista del governo catalano.
Al tempo stesso migliaia di persone attendono in Paseig Luis Companys, di fronte al parlamento catalano, il discorso del presidente Carles Puigdemont. La concentrazione à stata convocata dall'Anc, la principale organizzazione della società civile indipendentista, che ha disposto grandi schermi per trasmettere l'intervento del 'President'.

(di Lucia Capuzzi, inviata a Barcellona) Le pedine sono state disposte. Le regole sono note. L’obiettivo finale pure: mettere sotto scacco il re dell’avversario. I giocatori professionisti sanno, però, che, per farlo, non basta applicare strategie da manuale. È fondamentale non far capire, fino all’ultimo, quale si è scelta. Confondere le acque. Sacrificare i pezzi.

Quella in corso tra il governo centrale della Spagna e la Generalitat somiglia, ora più che mai, a una partita di scacchi. Mariano Rajoy e Carles Puigdemont sono decisi a tenere ben nascosto il gesto decisivo. Almeno fino alle 18 di oggi, quando uno dei due – il presidente della regione – dovrà muovere. Ovvero presentarsi di fronte all’Assemblea catalana, il Parlament, per definire le conseguenze del referendum secessionista del primo ottobre. Per ora, entrambi ripetono quanto risaputo. Rajoy giura che «prenderà misure adeguate» in caso Puigdemont dichiari unilateralmente l’indipendenza. «Provvedimenti che vanno dall’applicazione della Costituzione al Codice penale », ha precisato – senza di fatto precisare nulla – Pablo Casado, vicesegretario della Comunicazione del Partito popolare, a cui appartiene il premier.

Si va, dunque, dall’applicazione dell’articolo 155 e conseguente commissariamento della Generalitat, fino all’arresto del leader catalano e dei suoi principali collaboratori. «Potrebbe fare la fine di Companys», ha aggiunto Casado. Un paragone infelice per ciò che evoca nella memoria collettiva spagnola e catalana. Lluis Companys proclamò la separazione di Barcellona da Madrid il 6 ottobre 1934: fu incarcerato undici ore dopo. La vittoria del governo centrale fu, però, di breve durata: la tensione accelerò lo scoppio della guerra civile, con la disfatta delle forze repubblicane spagnole e catalane a vantaggio del franchismo.

Madrid, però, non teme di essere maldestra pur di mostrare i muscoli. In questa strategia rientra anche il gesto, simbolico, di sottrarre agli agenti catalani, i Mossos d’Esquadra, più morbidi verso i separatisti, la sorveglianza esclusiva della Tribunale superiore di giustizia di Barcellona, per cui potrebbero passare misure chiave in caso di “strappo”. Ora, intorno all’edificio, è schierata la polizia nazionale. Puigdemont, specularmente, deve dimostrare di non essere spaventato per non perdere credibilità agli occhi dello zoccolo duro del secessionismo. Senza, però, tirare troppo la corda.

Un escamotage che verrebbe incontro a tali opposte esigenze, è stato illustrato da uno degli uomini chiave del presidente, l’eurodeputato Román Tremosa. Quest’ultimo ha parlato di «indipendenza alla slovena». L’attuale nazione si separò nel 1991 dalla Federazione Yugoslava dopo una consultazione non autorizzata. Dopo tale voto, dichiarò lo strappo, però, ne sospese gli effetti per alcuni mesi in modo da negoziare con Belgrado una consultazione concordata. Esattamente ciò a cui punta Puigdemont. Mentre la sindaca di Barcellona, Ada Colau, si è espressa per il no a una dichiarazione unilaterale di indipendenza, chiedendo nel contempo a Rajoy di non applicare l’articolo 155.

In effetti, l’idea di Tremosa potrebbe essere solo un diversivo per saggiare la reazione di Madrid e la sua determinazione nel ricorrere alla norma costituzionale sulla sospensione dell’autonomia catalana. Un’opzione quest’ultima più facile per il governo dopo il via libera dei socialisti. Il segretario, Pedro Sánchez, ha annunciato che si schiererà con Rajoy in caso di secessione. Al contempo, però, il leader ha strizzato l’occhio alla Generalitat. In cambio della rinuncia all’indipendenza unilaterale, le ha offerto la pressione del suo partito sull’esecutivo perché questo si decida a trattare. Ipotesi tutt’altro che semplice.

Rajoy, finora – forte anche dei recenti appoggi di Francia e Germania – pare fermo sulle sue posizioni. Come dimostra il netto rifiuto a ogni richiesta di smussare gli angoli. Fosse anche solo quella del Consiglio d’Europa di un’inchiesta sulle violenze della Guardia civil e della polizia nazionale negli sgomberi dei seggi durante la votazione del primo ottobre. Per tale ragione, anche il fronte secessionista ha predisposto una risposta a un eventuale commissariamento. Junts pel sí – la coalizione che regge la Generalitat – ha annunciato il boicottaggio di elezioni regionali convocate da Madrid. Al contempo, l’Associazione nazionale catalana (l’Anc) – principale organizzazione civile pro-separazione – ha convocato il popolo secessionista oggi di fronte al Parlament. La manifestazione comincerà alle 18, stessa ora dell’intervento di Puigdemont al Parlament, per sostenerlo. E – anche se l’Anc non lo ammette – per riprendere il controllo della piazza, sottrattale domenica dai fautori dell’unità nazionale. La marcia, organizzata da questi ultimi, ha portato di fronte alla Generalitat, almeno 400mila persone, secondo le autorità (oltre il doppio per gli organizzatori). Un fiume giallo-rosso, i colori della bandiera spagnola, che subito i secessionisti hanno accusato di essere stato “importato” da fuori dalla Catalogna. Oggi sarà il turno delle “esteladas”. E della mossa finale di Puigdemont. Di sicuro, però, non della partita a scacchi.

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