martedì 3 settembre 2019
A Londra gli oppositori all'uscita dalla Ue senza trattative ottengono una vittoria significativa, che potrebbe essere vanificata però dalla convocazione delle elezioni anticipate
Il premier Boris Johnson. Per lui ieri una giornata nera: ha perso la maggioranza ed è stato battuto in aula (Ansa)

Il premier Boris Johnson. Per lui ieri una giornata nera: ha perso la maggioranza ed è stato battuto in aula (Ansa)

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Nella partita d’azzardo che il governo britannico sta giocando al fine di realizzare la Brexit no-deal, costi quello che costi, entro il 31 ottobre, "Re Boris" o "BoJo", come ormai lo chiamano, ha perso ieri una carta importante: la maggioranza. E poi ha incassato una dura sconfitta, con l’approvazione di una mozione che porta in discussione in aula, subito, una legge anti no-deal che impegna, in caso di approvazione, il governo a posticipare la Brexit al 31 gennaio 2020, obbligandolo a trattare con l’Ue per un accordo. Insomma una giornata nera per il premier Johnson, sconfitto in serata sulla mozione per 328 a 301. I parlamentari hanno così inteso riprendere in mano la questione Brexit.

L’addio ai Tory dell’ex sottosegretario Philip Lee, passato all’opposizione dei Lib Dem, è avvenuto proprio mentre il premier teneva la sua arringa di apertura del Parlamento dopo la pausa estiva. La notizia, piombata rumorosamente nell’Aula su cui pende la "spada di Damocle" della sospensione dei lavori - imposta dal governo tra il 9 settembre e il 14 ottobre per strozzare il dibattito sul "no deal" - ha certificato per i conservatori la perdita di quella già debole maggioranza assoluta numerica che, da agosto, la inchiodava a un solo seggio di vantaggio rispetto all’opposizione. La decisione di Lee non ha comportato l’automatica caduta del governo, ma ha aggiunto veleno a quella che si annuncia la settimana più delicata per il futuro della Brexit e del Regno Unito.

In serata, poi lo speaker della Camera, John Bercow, ha autorizzato il dibattito di emergenza che si è concluso con il voto della mozione con la quale appunto si porta subito in discussione in aula la legge contro la Brexit senza accordo. Dati alla mano, la sconfitta dell’esecutivo era nell’aria. Alla resa dei conti, mancavano i voti di quella fronda di una quindicina di parlamentari ostili alla linea dura del primo ministro, i "ribelli" capeggiati dall’ex cancelliere Philip Hammond e dall’ex ministro della Giustizia David Gauke, che ha dichiarato l’appoggio alla proposta di legge messa a punto dal laburista Hilary Benn.

Nonostante i tentativi di mediazione e le minacce di espulsione dal partito, la "Tory rebel alliance" è rimasta ferma sulle sue posizioni. Dopo un tesissimo faccia a faccia con il titolare di Downing Street, i "ribelli" hanno ribadito il proprio "no". Il premier - hanno detto - non ha offerto "risposte ragionevoli e convincenti" sulle alternative alla contestata clausola del "backstop" irlandese che il governo millanta di aver proposto a Bruxelles. Che Johnson stia bluffando lo ha del resto sottolineato anche la stampa. Citando dichiarazioni private dell’agguerrito Dominic Cummings, braccio destro di Johnson a Downing Street nonché stratega della campagna per il Leave nel referendum per la Brexit, il Daily Telegraph ha scritto che i presunti negoziati tra l’esecutivo e l’Ue sono una "finta". Circostanza confermata anche da fonti diplomatiche europee secondo cui il Regno Unito non ha, ad oggi, avanzato neppure una bozza di piano.

La legge Benn aveva, dunque, buone possibilità, fin dall’inizio, di essere approvata. Cosa succederà dopo? La contromossa dell’esecutivo, annunciata con toni solenni lunedì dal premier, dovrebbe essere l’immediata presentazione, probabilmente oggi stesso, del decreto di scioglimento delle Camere da mettere al voto entro la settimana. L’opposizione, certo, potrebbe respingerla al mittente facendo mancare il quorum dei due terzi dell’Aula necessario a indire elezioni anticipate. Ma la chiamata alle urne potrebbe essere sostenuta dai brexiteer infiltrati nel partito laburista, convinti che una chiamata alle urne sia comunque necessaria a creare una maggioranza compatta capace di trascinare il Regno Unito dal pantano della Brexit in cui si dibatte da tre anni.

Ipotesi, tra l’altro, sostenuta anche dai nazionalisti scozzesi che considerano le urne un’opportunità per chiedere un secondo referendum sull’indipendenza.

Le elezioni potrebbero del resto essere indette attraverso un emendamento alla normativa sulla durata della legislazione che potrebbe passare con maggioranza semplice. La data del 14 ottobre è per Johnson l’unica possibile.

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