lunedì 6 giugno 2022
Scandalo Partygate, il premier strappa il rinnovo nella consultazione a scrutinio segreto sulla sua leadership in seno al Partito Conservatore (da cui dipende la poltrona di primo ministro)
Boris Johnson

Boris Johnson - Ansa

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l premier Boris Johnson ha vinto la battaglia, ma non la guerra, contro i Tory che, ieri, hanno tentato la spallata per togliergli le redini del partito e del governo. Dopo più di sei mesi di Partygate, lo scandalo delle feste a base di alcol, sandwich, torte e karaoke tenuti a Downing Street durante il lockdown, quando le norme anti-Covid mortificavano ogni for- ma di socialità, il partito è stato chiamato a votare la sfiducia chiesta dei parlamentari che, nei giorni scorsi, hanno fatto piovere sulle scrivane dei dirigenti del partito formali appelli alla resa dei conti. Lo scrutinio, avvenuto in gran segreto nei meandri di Westminster, ha premiato il titolare di Downing Street: appoggiato da 211 deputati, scaricato da 148. La carriera di Johnson è al momento salva. Ma la storia insegna che una vittoria come quella di ieri, con il 40% del partito a votargli contro, può trasformarsi presto in una sconfitta. Come ha sintetizzato Keir Starmer, leader dell’opposizione, «è l’inizio della fine».

Il regolamento prevede che un altro voto di sfiducia possa avvenire solo tra un anno. Ciò non toglie che la dirigenza possa mandargli «gli uomini in abito grigio», immagine che evoca sicari inviati a sbattere sulla scrivania del premier una metaforica rivoltella e un bicchiere di whisky per caldeggiane l’uscita di scena. Perché, osservano i veterani conservatori, i partiti divisi non vincono le elezioni. Il caso di Theresa May ha fatto storia. A dicembre 2018 superò il test con 83 deputati ( Johnson l’ha vinta con 63) ma gli attacchi alla sua leadership continuarono fino a farla capitolare. La strategia è la stessa promessa adesso dai ribelli: per il premier non ci sarà tregua finché non sarà fatto fuori. La resa dei conti era nell’aria. Il caso è scoppiato a dicembre quando la stampa, imbeccata dall’ex braccio destro di Johnson, Dominic Cummings, ha cominciato a diffondere le foto delle feste tenute al N. 10 tra il 2020 e il 2021.

Ne è seguita una lunga indagine della polizia metropolitana di Londra, che si è conclusa il 19 maggio con una pioggia di multe: 126, per l’esattezza, a carico di 83 persone, compreso lo stesso Johnson, la moglie Carrie Symonds e il Cancelliere dello Scacchiere Rishi Sunak. Drammatico è stato, in particolare, l’esito dell’inchiesta amministrativa realizzata dall’alto funzionario Sue Gray, chiusa prima dell’intervento di Scotland Yard ma pubblicato in versione integrale solo due settimane fa. Il dossier ha certificato non solo «il mancato rispetto delle norme» anti-Covid ma anche il «fallimento della leadership» del premier e del suo entourage. Il titolare dell’esecutivo è intervenuto più volte in Parlamento a chiedere scusa e ad assumersi la responsabilità del pasticcio ma non ha mai contemplato l’idea di un passo indietro perché, questo è quello che ha lasciato intendere, lui era convinto che quegli incontri conviviali fossero riunioni di lavoro.

Il malumore del partito conservatore si è tradotto sin da subito in lettere di sfiducia congelate dallo scoppio della guerra in Ucraina che hanno cominciato a venir fuori dai cassetti dopo la batosta incassata dai Tory alle elezioni locali del 5 maggio. I fischi piovuti dalla folla sul premier Johnson mentre, venerdì, entrava nella cattedrale di St. Paul per partecipare alla cerimonia religiosa per i 70 anni di regno di Elisabetta, hanno certificato il risentimento del pubblico verso il premier. Johnson ha fatto di tutto per sventare la «congiura» dei ribelli. Il suo interventismo nella guerra tra Mosca e Kiev è suonato a molti come un modo per ricuperare sullo scacchiere internazionale i crediti persi in patria. Ma è servito solo in parte.

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