Chi a Londra fermerà Boris Johnson?
giovedì 16 giugno 2022

Chi fermerà Boris Johnson? Chi impedirà al dondolante primo ministro britannico di assestare altri fendenti a destra e manca pur di restare barricato a Downing Street il più possibile? Molti già vedono nei suoi comportamenti parecchie similitudini con le convulsioni finali della presidenza di Donald Trump sino all’attacco del 6 gennaio a Capitol Hill. Anche in quel caso Trump era disposto a tutto, al "dopo di me il diluvio". A mentire sapendo di mentire, come lo accusano, sul «baro Biden» e sulla sua vittoria non vera alle presidenziali del 2020. Johnson è stato messo sotto inchiesta dal partito per i festini durante il lockdown per il Covid, ma i Tory non sono riusciti (ancora) a farlo cadere.

A Westminster la quinta colonna conservatrice non ha trovato i voti per la sfiducia al proprio premier. L’economia, (come quelle di molti altri Paesi a dir la verità), va a rotoli e l’inflazione è divorante. La settimana prossima ci sarà quello che si annuncia come il più imponente sciopero dei trasporti, che riporterà (per dimensioni) l’Isola ai tempi duri dello scontro frontale tra Maggie Thatcher e i minatori.

Ci sono, insomma, tutti (o quasi) i presupposti per il benservito a Boris Johnson, soprattutto in una nazione che ha insegnato al mondo la democrazia, e che non ha certo mezze misure quando si tratta di fare piazza pulita di leader inadeguati. Ma in questo caso non succede. E la risposta che il premier offre di giorno in giorno diventa sempre più drastica, estrema e insidiosamente populista. Johnson e la sua fedele ministra (figlia di immigrati) Priti Patel tentano di imbarcare 130 migranti ancora gocciolanti delle acque della Manica (quasi tutti iracheni e afghani, questi ultimi abbandonati al loro destino con il precipitoso ritiro del Royal Army da Kabul) su un aereo diretto a Kigali, Ruanda.

Mezzo milione di sterline a spese del contribuente. E ancora prima che la Corte Europea per i diritti umani sentenziasse che quei 130 disperati devono attendere il corso della loro domanda di asilo prima di essere ammanettati e legati ai sedili di un aereo diretto in Africa, il biondo ex giornalista ha ipotizzato l’uscita del Regno Uniti dal Consiglio d’Europa di cui la Corte è l’emanazione. Così come ha fatto Vladimir Putin il 15 marzo scorso. E chi è il più fervente armiere della guerra in Ucraina, pronto a fornire consiglieri-istruttori sul campo e missili a sempre più lunga gittata? Al punto da scatenare accuse e minacce veementi di Mosca contro il Paese dove si è consumata la guerra di intelligence più feroce dai tempi del ponte delle spie di Berlino?

Ma Boris Johnson è anche colui che vuole stracciare platealmente, e gettare nel braciere, il Protocollo Brexit sul Nord Irlanda e sul confine esterno tra Regno Unito e Unione Europea. Neanche Nigel Farage era arrivato a tanto dopo la ancora discussa vittoria del leave al referendum, commentano senza aplomb i giornali londinesi.

Così, come in ogni crisi che si rispetti, l’inquilino del numero 10 di Downing Street e i suoi "consigliori" hanno scelto da tempo la gran cassa populista: immigrati e Brexit garantiscono più o meno il risultato. Soprattutto con un Partito conservatore che (è vero) perde, ma ha di fronte il Labour che non vince, e che ha poche chance di ottenere il ribaltone con Keir Starmer alla guida e soprattutto con l’orizzonte elettorale ancora lontano.

Per fortuna il popolo britannico, alla fin fine, sui princìpi non le manda a dire a nessuno, e i giudizi sull’operato di Johnson e sul camouflage che sta mettendo in atto sono a dir poco trancianti. Parla chiaro anche la Chiesa d’Inghilterra che sui migranti ha rotto ogni cautela.

Per bocca degli arcivescovi di Canterbury e di York, Justin Welby e Stephen Cottrell, ha denunciato nelle ultime ore il cosiddetto "Piano Ruanda" – come fatto prima di loro da opposizioni politiche, da Ong, dall’Onu e persino da dichiarazioni attribuite all’erede al trono Carlo – come una scorciatoia «immorale» che «getta vergogna sulla Gran Bretagna». Un inglorioso epitaffio politico.​

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