Il neopresidente Usa non potrà ignorare la Cina: continuità o rottura
sabato 20 febbraio 2021

Continuità o rottura? Ricuciture o strappi? Una cosa è certa: l'America di Biden non potrà prescindere dal confronto (dallo scontro?) con la Cina. Perché tra l'impero che ha dominato il XX secolo e quello che ambisce a farlo nel secolo in corso, è inevitabile che la competizione sarà aspra. Lo è stata al tempo di Donald Trump, lo sarà nell'era di Biden. A fare la differenza saranno i dossier. Saranno i temi caldi che il neo presidente Usa deciderà di aprire e buttare sul tavolo a condizionare i rapporti con Pechino. E a deciderne la qualità. L'ex inquilino della Casa Bianca scelse una direzione ben precisa: la guerra commerciale. La competizione con il Dragone andava giocata tutta sul crinale dei posti di lavori da difendere, dei dazi da imporre, dei mercati da proteggere, dei prodotti da respingere. La crociata contro Huawei e TikTok sono gli snodi simboli di un braccio di ferro ingaggiato da Trump in nome dell'America profonda. Dimenticati del tutto gli altri dossier. Dimenticati (e in molti casi irritati) perfino gli alleati tradizionale, dal Giappone alla Corea del Sud, quei Paesi che sono e saranno in prima linea nel contenimento dello strapotere cinese. È l'esatto opposto della strada che intende imboccare Joe Biden e l'amministrazione da lui capitanata. I primi atti e le prime parole del presidente parlano chiaro. L'inquilino della Casa Bianca non ha esitato a violare temi considerati tabù dalla controparte cinese.

Il segnale forte è arrivato il 10 febbraio scorso, esattamente tre settimane dopo il primo contatto avvenuto con il "collega" Xi Jinping. Durante il secondo colloquio telefonico, Biden ha menzionato la necessità di "preservare la regione indo-pacifica libera e aperta", per poi cannoneggiare su terreni alquanto scivolosi (per la Cina): dalla "repressione a Hong Kong, alle violazioni dei diritti umani nello Xinjiang, fino alle azioni sempre più assertive nella regione, anche verso Taiwan". E che non erano solo parole, lo conferma l'invio, nell'agitato Mar Cinese meridionale, di un gruppo di portaerei guidato dalla USS Theodore Roosevelt.

In realtà sarà l'intero approccio della politica estera statunitense a cambiare. Se Trump aveva imboccato la via dell'"isolazionismo impaziente" come è stato definito - non solo mortificando l'Europa ma anche i tradizionali alleati asiatici -, Biden si è presentato promettendo di "riparare le nostre alleanze": "ci impegneremo ancora una volta con il mondo", ha assicurato. A partire proprio dall'Asia.

Chiave di volta del nuovo orientamento a stelle e strisce, è stata la scelta di cooptare una figura di spicco come Kurt Campbell. Una decisione tutt'altro che casuale. Vecchia conoscenza della politica Usa, Campbell è stato l'architetto della strategia asiatica di Barack Obama e della svolta impressa dall'allora presidente Usa: Obama dichiarò che gli Stati Uniti erano una "nazione del Pacifico" e che avrebbero spostato la loro attenzione, in tema di politica estera, dal Medio Oriente all'Asia. Il nuovo approccio aveva lo scopo di riaffermare la leadership degli Stati Uniti in una regione in straordinaria ascesa economica, e controllare militarmente una Cina in altrettanto rapida crescita. Certo i tempi sono cambiati e Pechino, da allora, ha corso a grande velocità, tagliando importanti traguardi. "Penso che possiamo aspettarci che Kurt Campbell sia ancora una volta la voce dominante nella strategia asiatica, ma i tempi sono diversi. La Cina è più potente e più minacciosa e al prestigio americano è stato inferto un duro colpo", ha spiegato Michael Green, vicepresidente senior per l'Asia del Center for Strategic and International Studies.
"Se l'ex presidente Barack Obama ha optato per il 60% di cooperazione e il 40% di concorrenza con la Cina, mentre Trump essenzialmente per il 90% di concorrenza e il 10% di cooperazione, il presidente Biden può almeno optare per il 60% di concorrenza e il 40% di cooperazione", ha argomentato l'ex ambasciatore di Singapore all'Onu ed ex presidente del Consiglio di Sicurezza, Kishore Mahbubani "Tuttavia - ha aggiunto - il presidente Biden non può ottenere questo riequilibrio da solo. Ha bisogno dell'aiuto dell'Asia".

Strettamente legato al ruolo della Cina è l'altro dossier caldo che agita i piani asiatici di Biden: quello del nucleare nordcoreano. La luna di miele tra Kim Jong-un e Donald Trump è durata poco. Doveva essere il biglietto da visita del tycoon nella corsa per la rielezione, è stato un buco dell'acqua. Il lavorio diplomatico che avrebbe dovuto portare a una denuclearizzazione della Penisola è finito su un binario morto. Kim ha iniziato di nuovo a usare l'arca del ricatto (atomico), la politica che gli riesce meglio. L'America di Biden dovrà farne i conti.

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