venerdì 7 agosto 2020
Aiuti da mezzo mondo. La gente «delusa» dal governo grida: rivoluzione. Gli ex premier vogliono una commissione d’inchiesta esterna. Anche un’italiana fra i 157 morti.
Uomini della Protezione civile francese tra le macerie di Beirut

Uomini della Protezione civile francese tra le macerie di Beirut - Ansa

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Si scava ancora tra le macerie a Beirut. Secondo l’ultimo – ma ancora provvisorio – bilancio diffuso dal ministero della Salute, la catastrofe avvenuta martedì nella capitale libanese ha lasciato 157 morti e 5mila feriti.

Tra le vittime, l’italiana Maria Pia Livadiotti, di 92 anni, e una dipendente dell’ambasciata tedesca, trovata morta nella sua abitazione. Tra i feriti, dieci nostri connazionali che hanno tutti riportato ferite lievi.

Un colonnello della Protezione civile francese, impegnato con la sua squadra nelle ricerche di decine di persone ancora mancanti all’appello, ha dichiarato che ci sono ancora «buone speranze» di trovare superstiti. «Stiamo cercando, ha aggiunto, sette o otto membri del personale del porto che sarebbero intrappolati in una sala operazioni distrutta nell’esplosione».

Intanto, si è messa in moto la macchina dei soccorsi. All’aeroporto di Beirut continuano ad affluire aerei carichi di aiuti umanitari da ogni parte del mondo. Sono giunti i due velivoli C130 dell’aeronautica militare italiana con otto tonnellate di materiale sanitario e squadre dei vigili del fuoco esperti della valutazione dei danni agli edifici coinvolti. Sono già operativi gli ospedali da campo forniti da Russia, Egitto, Emirati Arabi Uniti e Iran.

L’Arabia Saudita ha istituito un ponte aereo per tre o quattro giorni, mentre la Tunisia ha deciso di ospitare 100 feriti libanesi. Dall’Europa, la Commissione Ue ha mobilitato 33milioni di euro per aiutare il Libano, destinati a coprire le spese emergenziali, sostegno medico, attrezzature e protezione delle infrastrutture critiche. Lo ha annunciato la presidente della Commissione, Ursula von der Leyen al premier libanese Hassane Diab.

Il direttore dell’Ufficio orientamento dell’esercito di Beirut, il generale Ali Kanso, ha elencato in una conferenza stampa gli aiuti pervenuti prima di illustrare le misure introdotte in base allo stato di emergenza proclamato per due settimane nella capitale.

Tra queste, il divieto di usare droni per ispezionare l’area colpita e il “sollecito”, fatto ai mass media in nome del dovere nazionale in questo momento critico, a non «prestare le sue tribune alla diffusione di certe analisi o speculazioni sull’accaduto, in attesa dei risultati dell’inchiesta».

Sul piano logistico, il porto di Tripoli, ottanta chilometri a nord di Beirut, ha iniziato ad accogliere le navi salpate inizialmente verso Beirut. Le autorità locali parlano di una sostituzione «provvisoria», ma è chiaro che è destinata a durare tanto. Il direttore dello scalo settentrionale, Ahmad Tamer, ha spiegato che il porto è atto a soddisfare pienamente le esigenze del Paese, avendo finora impiegato solo la metà delle sue effettive capacità.

A livello politico, la visita del presidente francese Emmanuel Macron ha catalizzato l’attenzione, soprattutto quando si è recato in due quartieri colpiti, accolto con un bagno di folla al grido di «Sawra, Sawra!» (rivoluzione!) da una popolazione che si era sentita totalmente abbandonata dai propri governanti.

Ma non sono mancate altre prese di posizione, come le dimissioni dell’ambasciatrice del Libano in Giordania. Diversi politici libanesi, tra cui il leader druso Walid Jumblatt e quattro ex primi ministri, tra cui Saad Hariri, hanno sollecitato la formazione di una commissione d’inchiesta araba o internazionale, esprimendo in tal modo la sua sfiducia in quella istituita dal governo. Quest’ultima ha predisposto ieri il blocco dei capitali di tutti i responsabili che si sono succeduti alla direzione del porto e della dogana negli ultimi anni.

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