giovedì 29 ottobre 2020
La leader della campagna Ican è realista dopo l'entrata in vigore dello stop Onu: «Dal voto, tre anni fa, i Grandi hanno già perso 1.700 miliardi di investimenti, adesso la pressione crescerà ancora»
Missile con testata nucleare viene fatto sfilare nella piazza Rossa di Mosca

Missile con testata nucleare viene fatto sfilare nella piazza Rossa di Mosca - Ansa

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«Non ho dubbi: riusciremo a bandire in modo definitivo le armi nucleari. Magari non così in fretta come vorremmo, ma ce la faremo. Perché la storia può finire solo in due modi: o noi elimineremo l’atomica o l’atomica eliminerà noi». Il tono è enfatico e appassionato. Beatrice Fihn non è, però, una sognatrice romantica. Questa 38enne svedese, con due lauree e lunga esperienza in enti internazionali, è abituata a far seguire i fatti alle parole. L’International campaign against nuclear weapons (Ican) – la rete di organizzazioni da lei guidata – ha appena segnato un punto decisivo nella battaglia contro l’atomica.
Sabato, il trattato Onu (Tpnw) che ne proibisce il possesso oltre all’impiego, ha raggiunto le cinquanta ratifiche necessarie per l’entrata in vigore. Segno che il disarmo nucleare non è necessariamente un’utopia. La storia di Ican lo conferma. Nata tredici anni fa, la campagna è riuscita, nel 2017, a vincere le resistenze del club delle nove potenze atomiche e a far approvare il divieto all’Assemblea generale delle Nazioni Unite. Una svolta inattesa, che è valso alla rete il Nobel per la Pace. Tre anni dopo, il bando passa dalla carta alla realtà. Il 22 gennaio 2021, al termine dei 90 giorni previsti dalla 50esima ratifica, potrà produrre effetti giuridicamente vincolanti.

La Nobel Beatrice Fihn, direttrice di Ican

La Nobel Beatrice Fihn, direttrice di Ican - Ansa


Si immaginava un simile risultato quando la campagna è cominciata nel 2007?
Non è iniziata nel 2007. È parte di un movimento globale e multi generazionale nato 75 anni fa. Con il telegramma inviato dalla Croce Rossa di Hiroshima per chiedere di vietare quel tipo di bombe. Con la scelta dell’Onu di porre il disarmo nucleare tra le proprie fondamenta. Con, soprattutto, il coraggio degli hibakusha, i superstiti di Hiroshima e Nagasaki, capaci di trasformare il dolore per la perdita dei propri cari in determinazione affinché nessun altro dovesse patire una simile sofferenza.
Che cosa cambia con l’entrata in vigore del Trattato?
Le armi nucleari non sono più solo immorali, sono illegali, lo dice la nuova normativa. Gli effetti di quest’ultima si ripercuotono anche sui Paesi non aderenti, a partire dagli Stati possessori di ordigni atomici. Dalla sua approvazione, tre anni fa, questi ultimi hanno perso 1.700 miliardi di dollari in finanziamenti da parte di banche e fondi pensione che non vogliono contribuire alla costruzione o alla manutenzione di armamenti proibiti. Con l’entrata in vigore, la pressione crescerà ulteriormente.
Le potenze nucleari accusano il bando di indebolire il disarmo nucleare, poiché mina la politica della deterrenza, alla base del Trattato perla non proliferazione. Che cosa risponde?
Che prove mostrano a sostegno della loro tesi? Ripetono una bugia sperando che diventi realtà. Ma non è così. Il divieto prosegue sulla strada indicata dal Trattato di non proliferazione ma fa un passo ulteriore: mette fuori legge l’atomica.
Era davvero necessario? Non era sufficiente la deterrenza?
La deterrenza non funziona. La storia recente lo dimostra. Da quando è stata formulata come dottrina, siamo passati da tre a nove potenze nucleari. E nella seconda metà del Novecento, la minaccia nucleare è stata tra le principale cause delle guerre non il modo di evitarle. Non è questo il modo di garantire la sicurezza globale. Essa deve essere fondata sul diritto e la cooperazione, non sull’intimidazione.
Papa Francesco ha più volte condannato il possesso dell’atomica. Di recente lo ha scritto anche nell’enciclica Fratelli tutti. I suoi pronunciamenti e la politica della Santa Sede per il disarmo atomico hanno contribuito a una presa di coscienza della comunità internazionale?
Ripenso spesso a una frase chiave che ha detto papa Francesco: “Quanto può essere sostenibile un equilibrio sulla paura?”. Il Pontefice lo ha detto nel marzo 2017, quando il Trattato era ancora in discussione. La sua voce è stata fondamentale nel denunciare l’immoralità delle armi nucleari, creando un clima favorevole all’approvazione del divieto. Molti cattolici hanno sostenuto e sostengono la nostra campagna. La Santa Sede, inoltre ha assunto con coraggio – mentre le sirene del riarmo suonano forti – una leadership morale sulla questione, come dimostra la scelta di essere tra i primi Paesi a ratificare il Trattato.

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