venerdì 9 gennaio 2015
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Nelle remote regioni, aride e desertiche, del nord-est della Nigeria, costellate di piccoli villaggi, dove a prevalere è una popolazione di povertà estrema, emarginata e senza servizi essenziali, dedita a pastorizia e agricoltura, a maggioranza musulmana, ma altresì dove si concentrano, seppure rimanendone sempre una minoranza, il maggior numero di cristiani nigeriani del nord, da quasi cinque anni gli squadroni della morte di Boko Haram spadroneggiano, uccidono e distruggono, e rapiscono le giovani donne da usare come merce o come schiave e concubine. Boko Haram è un movimento che ha radici nel lontano passato della storia politica e di potere della Nigeria, e che ora riemerge e puntualmente terrorizza sotto la bandiera nera del fanatismo islamico con la sua impronta terrorista a tutto campo, con il principio che tutto «quello che è occidentale è proibito», questo significa quel nome nel dialetto Hausa. Un movimento che faceva e ancora fa proseliti negli strati bassi della popolazione, tra i giovani rassegnati dall’emarginazione, abbandonati da uno Stato che ormai da anni ha abbandonato quelle aride lande del nord. L’altro giorno nella città di Baga, al confine con il lago Chad, sabbia e tetti di lamiera per 400 mila abitanti, di cui poco meno di 50 mila sono i cristiani, comprese le piccole e numerosissime sette africane, c’è stato l’ultimo raid di sangue. S’è parlato di «2.000 morti e di una città rasa al suolo» e di migliaia di persone in fuga. Da quei luoghi sperduti e dove domina la paura, è molto difficile avere notizie più precise, e numeri certi, soprattutto quando di fronte alla sconvolgente violenza criminale espressa dai banditi di Boko Haram, che non si ferma davanti a nessuno, tutti fuggono: musulmani, cristiani, animisti, senza distinzione. L’eco della brutalità che dimostrano questi combattenti, mette il terrore e fa fuggire ancor prima di udire il crepitare delle loro armi automatiche. Anche l’esercito nigeriano, male equipaggiato e male armato, per niente motivato, e corrotto, nonostante che la Nigeria sia un Paese ricco, che ha registrato notevoli progressi economici, sviluppati con l’estrazione del petrolio, e che, come scritto recentemente dal «Walll Street Journal», «la Nigeria è uno dei principali e più promettenti mercati d’Africa». Ma le risorse non sono per tutti, e le risorse del petrolio non vengono reinvestite nel nord povero e senza speranza e così i militari scappano davanti a una minaccia che si presenta bene armata e che ormai, è noto, viene direttamente finanziata dalla cosiddetta cellula di al-Qaeda del Magreb. Organizzazione che ha tecnicamente «rilevato» quel movimento armato nato in Nigeria per motivi più politici che di califfato, facendovi confluire, adesso, tutto quel marasma di schegge impazzite di combattenti islamici che l’intervento armato dell’esercito francese di un paio d’ anni fa in Mali ha combattuto, cercato di annientare e disperso nel deserto del Sahara. E che, invece, è confluito armi e bagagli, in Boko Haram, andando a rinforzare quella che era una accolita di banditi e sbandati tagliagole, di giovani senza speranze reclutati con la promessa di un paradiso che li «salverà dalla povertà culturale e morale» dell’Occidente. Oggi, Boko Haram è Diventato qualcosa di più di una presunta bandiera di riscatto del nord povero e abbandonato della Nigeria dalle ingiustizie del ricco sud. L’ obiettivo si è trasformato e si chiama «Stato Islamico», uguale e alleato a quello che già esiste e combatte in Iraq, con la sua capitale che è Mosul. Quello che sta accadendo oggi in quelle remote regioni del nord della Nigeria non è ne più ne meno la stessa storia di quello che è accaduto in Iraq: la rapidissima ascesa e grande marcia dei combattenti dello Stato islamico dell’autonominatosi sceicco al-Baghdadi. Combattenti provenienti dal mondo dell’islam radicale internazionale e dal sunnismo iracheno: super armati e ben finanziati da diversi Stati arabi amici, mentre di fronte c’era solo il rapido sfaldamento, come neve al sole, dell’esercito a prevalenza sciita del governo di Baghdad. Tante armi e moderno equipaggiamento, una forte motivazione al combattimento, ma soprattutto la capillare diffusione del terrore attraverso la strategia del massacro indiscriminato, nel nord della Nigeria hanno già causato più di un milione e mezzo di sfollati e almeno 11 mila morti, soprattutto tra la popolazione islamica, in questi anni. Il 14 febbraio prossimo, sono previste le elezioni in questo Paese federale con 36 stati e più di 350 etnie, e 170 milioni di abitanti. I contendenti sono due: il presidente, cristiano del sud, Jonathan Goodluck, e il suo avversario Muahammad Buhari, un musulmano, con un passato politico nel governo dei militari negli anni Ottanta. Ma le divisioni politiche, le rivalità economiche, nella ricchissima e gigante Nigeria, sono molte di più.
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