sabato 18 giugno 2022
Questo non è un Paese in conflitto, ma conta più vittime delle zone di ostilità: 3.651 omicidi solo nel 2021
Militari dell'Honduras

Militari dell'Honduras - Ansa/Epa

COMMENTA E CONDIVIDI

La parola è un’abbreviazione di “marabunta”, una formica selvaggia che vive in grandi colonie e distrugge le selve amazzoniche, divorando ciò che trova sul cammino. Come bande giovanili, le “maras” nacquero negli ’80 a Los Angeles – la data più accreditata è la notte di Halloween del 1989, dunque il conflitto andrebbe avanti da 11.919 giorni – per poi essere esportate negli anni ’90 in Centro America con le deportazioni in massa dagli Usa degli immigrati considerati potenziale minaccia per la sicurezza nazionale.

Nel Triangolo Nord dell’istmo è l’Honduras – più dei vicini El Salvador e Guatemala – il territorio più martoriato dalla feroce guerra in atto da ormai trent’anni fra “pandillas” per il controllo in ogni strada, quartiere o angolo urbano. In un’interminabile spirale di vendette e rese dei conti, e di forte repressione da parte della polizia, il terzo fattore dell’equazione di infinita violenza. E che ha fatto dell’Honduras uno dei Paesi più pericolosi al mondo per abitanti, difensori dei diritti umani, leader ambientalisti indigeni, giornalisti e operatori di giustizia, secondo il relatore speciale dell’Onu per i Diritti umani.

L’Honduras non è un Paese in conflitto, ma conta più vittime delle zone di ostilità: 3.651 omicidi nel 2021, una media di 40 per ogni 100mila abitanti, tre punti in più dell’anno precedente, secondo l’Osservatorio nazionale della violenza. Un massacro la settimana, 53 assassinii plurimi negli scontri fra le maras.

E il numero di uccisioni è aumentato del 3,2% nel primo bimestre di quest’anno. A voler sommare la media annua nell’ultimo trentennio, un’ecatombe di oltre 105mila morti, su una popolazione di 9,8 milioni di persone, secondo stime al ribasso.

In fuga con le famiglie da minacce di morte, estorsioni, reclutamento forzato nelle bande, violenza sessuale su bambine e donne, oltre 270mila honduregni «desplazados» interni, sfollati in altri Paesi della regione, secondo l’ultimo rapporto di Acnur e Unicef 2019/2020. “Mara Barrio 18” o “Mara Salvatrucha” (MS13) sono i sinonimi di terrore.

Ma la polizia nazionale conta oltre 40mila i giovani affiliati a 150 bande diverse.

Nei quartieri urbani più degradati, come il Barrio Medina, a San Pedro Sula, estorcono il “pizzo” ai residenti solo per lasciarli in vita. O per transitare fra le frontiere invisibili dei diversi domíni. Nel Paese fra i peggiori in America Latina per disuguaglianza economica, con il 62% della popolazione in condizione di povertà e quasi il 40% in miseria, la violenza delle maras si salda a quella del narcotraffico e alla contiguità politica alla corruzione, che erode le scarse risorse che lo Stato riesce a incamerare e a destinare a educazione, sanità e politiche di prevenzione.

L’impunità è garantita dall’inefficiente sistema giudiziario, con il 90% dei reati contro difensori dei diritti umani impuniti al giugno 2021, secondo la Commissione Interamericana dei Diritti Umani. La neo-presidente progressista Xiamara Castro, ha promesso di smilitarizzare la polizia, con un’inversione di tendenza rispetto al braccio di ferro impiegato dai predecessori, che ha contribuito all’escalation e portato l’Honduras vicino a uno Stato fallito. Ma la sfida è enorme, e il cammino lungo e difficile.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI