giovedì 23 settembre 2021
L’iniziativa di Biden: «Mezzo miliardo di dosi ai Paesi poveri». Ma non si va oltre l’ottica del dono, niente stop ai brevetti. Draghi: triplicheremo l’impegno con 45 milioni di di fiale entro l'anno
Joe Biden davanti allo schermo dei leader intervenuti al summit sul Covid

Joe Biden davanti allo schermo dei leader intervenuti al summit sul Covid - Reuters

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Parte, o meglio, riparte, da Washington una nuova promessa dei Paesi ricchi verso quelli poveri: «Lavoreremo ancora più a stretto contatto per estendere la vaccinazione globale», ha annunciato ieri Joe Biden, aprendo il summit virtuale per la lotta al Covid che ha voluto a margine dell’Assemblea generale dell’Onu. Il presidente Usa ha invitato le 30 nazioni ad alto reddito ospiti al vertice a «presentare impegni per la donazione di vaccini». E ha dato l’esempio, annunciando che gli Usa «doneranno» altre 500 milioni di dosi ai Paesi più poveri, grazie a un accordo raggiunto con Pfizer-BioNTech (che porta a 1,1 miliardi le dosi distribuite gratuitamente dagli Usa), e che è pronto a stanziare altri 370 milioni di dollari per favorirne la distribuzione.

L’Italia ha risposto presente e assicurato che triplicherà il suo sforzo. «Doneremo 45 milioni di vaccini ai Paesi più poveri entro la fine dell’anno», ha detto il presidente del Consiglio, Mario Draghi, in videoconferenza, sostenendo che i meccanismi multilaterali, come Act e Covax «rimangono gli strumenti più efficaci per assicurare un’efficace distribuzione dei vaccini» e accogliendo «la proposta degli Stati Uniti di istituire un Fondo di intermediazione finanziaria» per la pandemia. Il giorno prima il presidente cinese Xi Jinping si era impegnato davanti all’Assemblea generale a fornire al mondo un totale di 2 miliardi di dosi di vaccini cinesi entro la fine di quest’anno.

Per rendere più concreti gli sforzi comuni contro la pandemia, dalla Casa Bianca è emersa anche una sorta di nuova “Alleanza Atlantica” contro il Covid: una task force congiunta fra Stati Uniti e Ue. Il suo obiettivo è «approfondire la cooperazione ed identificare e risolvere questioni riguardo all’espansione della capacità di produzione di vaccini e cure» nel vecchio e nel nuovo Continente, le cui catene di distribuzione sono strettamente interconnesse. Via quindi alla «costruzione di nuovi impianti di produzione, al mantenimento di catene di distribuzione aperte e sicure» evitando le restrizioni all’export e «incoraggiando la condivisione volontaria di know-how e tecnologia», recitano le conclusioni.

Ma è proprio su quest’ultimo punto che il summit ha deluso. Nessun partecipante ha menzionato la necessità di spingere i produttori di vaccini a condividere i loro brevetti con i Paesi in via di sviluppo, affinché questi possano produrli autonomamente, liberandosi dalla dipendenza dai più ricchi, un passaggio auspicato anche da papa Francesco. L’annuncio fatto da Biden nel maggio scorso di «non voler proteggere la proprietà intellettuale» delle formule dei vaccini è infatti rimasto lettera morta alla Wto, l’Organizzazione mondiale del commercio.

E proprio ieri Amnesty International ha denunciato che le sei aziende farmaceutiche produttrici di sieri contro il Covid-19 stanno alimentando «una crisi senza precedenti perché si rifiutano di cedere i diritti di proprietà intellettuale e di condividere la tecnologia necessaria per la produzione» delle fiale e, nella maggior parte dei casi, restano chiuse alla loro distribuzione nei Paesi più svantaggiati.

L’organizzazione per i diritti umani ha esaminato l’operato di AstraZeneca, BioNTech, Johnson & Johnson, Moderna (che ha sviluppato il suo prodotto grazie a circa 2,5 miliardi di dollari dei contribuenti americani), Novavax e Pfizer e ha dipinto l’immagine di un’industria che sta venendo meno al rispetto dei diritti umani.

«Mettere fine alla pandemia di Covid attraverso la cooperazione globale è la nostra principale priorità», sostiene però il comunicato stilato ieri dai 30 leader convocati da remoto dalla Casa Bianca. E Biden è andato oltre: «Gli Stati Uniti vogliono essere l’arsenale dei vaccini come sono stati l’arsenale della democrazia durante la Seconda guerra mondiale», ha concluso, fissando il traguardo di vaccinare almeno il 70% del mondo entro il settembre del 2022. Un impegno che non sarà facile mantenere senza superare le «grandi disuguaglianze tra i vari Paesi del mondo riguardo alla disponibilità di vaccini», sottolineate dallo stesso Draghi.

Sei miliardi di dosi nel mondo​

Le dosi di vaccino anti-Covid somministrate nel mondo hanno superato quota 6 miliardi. Lo calcola l’agenzia di stampa Afp. Quasi il 40% delle inoculazioni (2,18 miliardi) sono avvenute in Cina. Nella graduatoria dei Paesi con più vaccinazioni seguono India (826 milioni) e Usa (386 milioni). Forti restano le disparità tra Stati ricchi e poveri. In quelli classificati «ad alto reddito» dalla Banca mondiale sono state somministrate in media 124 dosi ogni 100 abitanti, rispetto alle 4 dosi per 100 abitanti in quelli «a basso reddito». In 3 Paesi – Burundi, Eritrea e Nord Corera – non risulta alcuna vaccinazione.

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