giovedì 8 dicembre 2016
Aleppo, i ribelli lasciano ad Assad la città vecchia
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«Una vittoria storica che impedirà l’intervento straniero e cambierà il processo politico», dice il ministro siriano per la Riconciliazione, Ali Haider. Perché quello che da giorni sembrava ormai evidente, che il conflitto fosse segnato, sta diventando realtà: l’offensiva dell’esercito di Damasco, con il decisivo appoggio russo, sta polverizzando, giorno dopo giorno, quartiere dopo quartiere, la resistenza dei ribelli siriani.

Tanto che lo stesso presidente Bashar al Assad si è esposto: una vittoria ad Aleppo sarà «un enorme passo avanti verso la fine» della guerra. Ieri l’artiglieria governativa si è concentrata sul quartiere di al-Zabdiya e altre aree ancora in mano ai ribelli nel sudest della città, mentre sono “caduti” i quartieri di Bab al-Hadid e Aqyul. Con il risultato che l’ottanta per cento di Aleppo est, roccaforte dei miliziani dal 2012, sono stati “liberati. Città vecchia compresa. In tutto sarebbero «cinquanta», secondo Mosca, i quartieri espugnati durante l’avanzata.

A riferirlo l’Osservatorio siriano per i Diritti umani. I ribelli, sotto la pressione dell’esercito avrebbero deliberatamente lasciato i quartieri storici di Aleppo. Spingendosi a chiedere, in un appello firmato da tutti i gruppi dei com- battenti compresa Fateh al-Sham, il gruppo degli ex qaedisti del Fronte al-Nusra, «una tregua umanitaria immediata di cinque giorni». Una riprova, per molti analisti, dell’ulteriore indebolimento sul piano militare del fronte dei ribelli. Ma non basta. I ribelli chiedono «l’evacuazione medica, sotto il monitoraggo dell’Onu, delle persone che hanno bisogno di cure sanitarie urgenti», che sarebbero circa 500, nonché «l’evacuazione dei civili che vogliono lasciare Aleppo verso le aree orientali della provincia omonima» dove i ribelli hanno ancora il controllo di alcune porzioni di territorio.

Esclusa la provincia di Idlib perché, secondo il testo, «non è più un territorio sicuro in considerazione dei bombardamenti russi e americani ». Immediata – e netta – la replica di Mosca, affidata al portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov: «Tutti i ribelli rimasti nella città sono terroristi». Le speranze che possano aprirsi spazi per nuove trattative? Per il portavoce – nel giorno in cui Mosca ha perso un consigliere militare in Siria, ucciso da un bombardamento ribelle – non sarebbero stati «pianificati nuovi colloqui tra i due Paesi». Anche se ieri il segretario di Stato Usa John Kerry e il ministro degli esteri russo Sergeij Lavrov si sono incontrati ad Amburgo a margine della riunione annuale dell’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa. Gli Stati Uniti, appunto.

Costretta a un ruolo sempre più marginale, la Casa Bianca ha condannato duramente il regime siriano e la Russia, accusandoli di «ostacolare l’arrivo degli aiuti umanitari, di continuare a colpire strutture civili e sanitarie e di usare barili bomba e armi chimiche. Mosca viene inoltre accusata di bloccare ogni tipo di risoluzione all’Onu per porre fine alle atrocità. Sul fronte diplomatico, Francia, Stati Uniti, Germania, Canada, Gran Bretagna e Italia hanno lanciato un appello «per l’immediato cessate il fuoco» ad Aleppo, di fronte «alla catastrofe umanitaria » in atto nella città siriana.

Nel documento, diffuso dall’Eliseo, la presidenza della Repubblica francese, si esortano Russia e Iran a «usare la loro influenza» sul governo di Damasco per il raggiungimento della tregua. L’appello ha sottolineato «l’urgenza assoluta del cessate il fuoco, per permettere alle Nazioni Unite di portare aiuto umanitario». I combattimenti “gonfiano” le dimensioni della tragedia. Da metà novembre – sempre secondo i dati forniti dall’Osservatorio siriano per i diritti umani – , sono 80mila le persone fuggite dalla furia dei combattimenti. Infine il governo siriano ha confermato che l’esercito israeliano ha attaccato l’aeroporto militare di Damasco nel quartiere di Mezze. In un comunicato citato dall’agenzia ufficiale Sana, si legge «che il nemico ha sparato missili terra-terra dalle terre occupate», presumibilmente dalle Alture del Golan controllate da Israele.

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