sabato 2 marzo 2019
L’Ue corre in soccorso del Paese, non perché si considerino infondate le accuse di collusione col narcotraffico, ma perché si teme sia incapace di gestire la dialettica politica senza violenza
Albania, le paure dell'Europa frenano la rabbia della piazza
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La prossima protesta è fissata per il 5 marzo, ma il clou delle manifestazioni antigovernative sarà il 16 marzo. Peraltro, l’Aventino del Parlamento albanese ha un’agenda flessibile. Basta una visita della delegazione europea, com’è avvenuto giovedì, per far rivedere i piani all’Assemblea legislativa e ai deputati democratici che a metà febbraio si sono dimessi in blocco, accusando il governo del socialista Edi Rama di brogli elettorali, corruzione e legami con la criminalità organizzata. Subito seguiti, sulla stessa strada, dal Movimento socialista per l’integrazione.

Paradossalmente, più dell’Aventino e degli scontri di piazza che l’avevano preceduto, con il tentativo di “espugnare” il Parlamento, a choccare gli albanesi è stata la reazione delle istituzioni internazionali. Gli ambasciatori di Stati Uniti ed Europa hanno bocciato il boicottaggio dell’istituzione parlamentare con un linguaggio che non aveva nulla di diplomatico. Entrambi hanno delle solidissime ragioni per correre in aiuto di Rama – gli equilibri Nato e l’adesione di Tirana all’Ue – ma quest’intervento ha dato la misura della fragilità della democrazia Albanese: messa sotto tutela al primo moto di piazza non tanto perché si considerino infondate le accuse di collusioni tra il governo e il narcotraffico, ma perché si considera la democrazia albanese incapace di gestire la dialettica politica senza ricorrere alla violenza.

Un soccorso alla stabilità, verrebbe da dire, e incidentalmente al governo socialista. A Tirana, però, non tutti la pensano in questo modo. «Non credo che l’Europa voglia per gli albanesi ciò che non accetterebbe per gli europei. Le intercettazioni hanno appurato la complicità tra un esponente socialista di primo piano e narcotrafficanti e il Procuratore generale, invece di indagare su questa pista inquietante, ha indagato il giornalista che l’aveva rivelata. Non stiamo parlando della “solita” corruzione. Vi è il dubbio concreto e docu- mentato che i voti della maggioranza che ci governa derivino dai proventi del traffico di droga e quando c’è un simile dubbio è salutare ricorrere al voto popolare».

A parlare così è Agim Baci, editorialista di Gazeta Panorama, uno dei più diffusi quotidiani albanesi, di proprietà del businessman Irfan Hysenbelliu, noto per la birra Korça e molto meno per I suoi numerosi ospedali. Baci è uno degli editorialisti di punta del giornale e ha commentato la vicenda durante il seminario sul dialogo sociale promosso da Mcl, Eza e dal sindacato indipendente Sauatt. «L’escalation cui si assiste a Tirana preoccupa tutta l’Europa – conferma il copresidente di Eza e membro della presidenza di Mcl Piergiorgio Sciacqua –, ma preoccupano a maggior ragione le dinamiche sociali che tengono questo Paese ancorato al proprio passato e che sono dinamiche fatte di povertà, di mancato sviluppo e di una corruzione diffusa, che allontana il cittadino e gli infonde una sconfortante voglia di andarsene, di emigrare».

Il 36% degli albanesi vive al di fuori del Paese delle aquile, ma se questa fuga di massa rappresenta un fenomeno esclusivamente schipetaro, vi è una fragilità nei rapporti politici che accomuna diverse democrazie balcaniche, come hanno denunciato i giornalisti al seminario di Tirana: «Il potere in Serbia è armato di media: i lettori sanno molto poco di quel che succede nel mondo ma sanno tutto ciò che fa e che dice il presidente Vucic – ha spiegato ad esempio Darko Sper, del sindacato dei giornalisti Nezavisnost –. In futuro ci sarà sempre più allineamento e paura per la libertà di stampa e ciò renderà difficile l’ingresso del nostro Paese nell’Unione Europea».

Una prospettiva che da qualche giorno non ossessiona più gli albanesi, particolarmente quelli che parteggiano per Lulzim Basha e che non hanno ancora perdonato il via libera degli osservatori europei alle ultime elezioni politiche, anche in quei collegi dove sono risultati più voti che votanti. Il soccorso al premier viene letto come un’intromissione nella liturgia locale del potere, che presuppone tempi e forme lontane anni luce da Montesquieu e Adenauer.

Persino dalla tradizione socialista, se è vero che Rama, recentemente, si è vantato con gli investitori italiani di non avere sindacati o o altre forme di bilanciamento sociale per i diritti dei lavoratori. In una situazione esplosiva di povertà – il salario di molte categorie di lavoratori non raggiunge i 300 euro – migliaia di lavoratori sono senza diritti, ostaggi della corruzione e del clientelismo che, insieme a un controllo della pubblica amministrazione di mentalità ancora poliziesca, costituiscono l’ingombrante eredità del regime di Enver Hoxha. Nei palazzi del potere di Tirana fanno spallucce: l’alternanza tra democratici e socialisti è solo una questione di facce e la scelta dei primi di alzare i toni dello scontro è finalizzata a non restare tagliati fuori dai negoziati per l’adesione all’Ue che dovrebbero partire in estate.

Diversamente, si spiega, rinunciare all’immunità parlamen-tare, per di più in pendenza di una riforma della giustizia, sarebbe un azzardo troppo grande. «Mentre nel resto del mondo è il potere politico a temere quello giudiziario – conferma Baci – da noi la giustizia è un’arma contro l’opposizione». Secondo il giornalista, però, l’Ue «giudica la protesta senza tener conto della nostra storia: veniamo da una lunga notte in cui l’altro era il nemico e caduto il regime ci siamo scoperti senza un’élite capace di difendere la dignità del nostro popolo. Ma quando si supera ogni limite, quando si ruba il voto, quando l’inganno diventa legge, allora il rifiuto si fa dovere».

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