mercoledì 3 maggio 2017
L'esplosione è avvenuta durante l'ora di punta mattutina lungo un'affollata strada vicino all'ambasciata Usa e al quartier generale dell'Alleanza. «In maggioranza civili» i morti. Il Daesh rivendica
L'attacco è avvenuto vicino all'ambasciata statunitense a Kabul (Ansa/Ap)

L'attacco è avvenuto vicino all'ambasciata statunitense a Kabul (Ansa/Ap)

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Che ormai il sedicente Stato islamico (Daesh) sia in grado di colpire nel cuore dell'Afghanistan è assodato. Prima ha attaccato un ospedale, poi fatto strage di quasi duecento soldati in una base militare e ora ha dimostrato, se mai ce ne fosse stato bisogno, di potere agire tranquillamente nella capitale. È stata infatti rivendicata dal Daesh la potente esplosione di questa mattina a Kabul, che ha provocato otto morti civili e ventotto feriti, tra i quali tre membri della coalizione. Lo hanno indicato le autorità afghane.

La deflagrazione, avvenuta durante l'ora di punta mattutina lungo un'affollata strada vicino all'ambasciata americana e al quartier generale della Nato, ha ucciso in «maggior parte» civili, secondo un portavoce del ministero degli Interni. La Nato ha riferito che tre membri della coalizione hanno riportato lesioni nell'attacco, ma non sono in pericolo di vita. «Sono in condizioni stabili e al momento sono curati presso le strutture mediche della coalizione», ha riferito un portavoce della forze Usa-Afghanistan, senza confermarne le nazionalità.

Il Daesh ha rivendicato l'esplosione attraverso la sua agenzia di propaganda Amaq, sostenendo che le otto vittime siano tutti soldati americani. Ma i militanti spesso “gonfiano” e ingigantiscono le proprie rivendicazioni. L'attacco arriva tre settimane dopo che le truppe Usa hanno sganciato la bomba Moab contro i covi dei jihadisti nell'est dell'Afghanistan. Una dimostrazione di «forza» secondo Donald Trump che aveva esaltato l'attacco con la “madre di tutte le bombe”.

L'invio di altri 1.600 soldati americani

Una dimostrazione di debolezza però, secondo molti analisti, perché non più tardi della scorsa settimana il Pentagono ha annunciato l'invio entro un mese di 1.600 militari. Un "surge" di bushiana memoria che dimostra come l'impegno americano di ritiro, fatto da Obama, sia fallito e che la situazione si sia aggravata al punto che dopo ani gli Stati Uniti sono costretti a inviare nuove truppe in un teatro di guerra che consideravano ormai chiuso. Da tempo.

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