martedì 9 agosto 2022
Apprensione per la sorte del più grande impianto atomico d’Europa. L’Ucraina chiede di creare una zona demilitarizzata e indagini dell’Aiea entro fine mese.
Uno specchio d'acqua largo quattro chilometri separa Nikopol dalle torri dei reattori della centrale nucleare di Zaporizhzhya, sei cubi che dominano il panorama a cui si affaccia praticamente ogni balcone della cittadina sulle rive del Dnipro.

Uno specchio d'acqua largo quattro chilometri separa Nikopol dalle torri dei reattori della centrale nucleare di Zaporizhzhya, sei cubi che dominano il panorama a cui si affaccia praticamente ogni balcone della cittadina sulle rive del Dnipro. - PIETRO GUASTAMACCHIA / ANSA

COMMENTA E CONDIVIDI

Mentre usciva dalla baia di Odessa il cargo scortato dai dragamine si è visto passare sulla testa tre missili russi. Due sono stati abbattuti dalla contraerea, uno si è improvvisamente inabissato. «Un errore di tiro, oppure un avvertimento», osserva una fonte diplomatica.

Razzi come quelli che minacciano la centrale nucleare più grande d’Europa dove un blackout, oltre all’allarme radioattività, potrebbe lasciare al buio e al freddo l’Ucraina meridionale per i prossimi mesi.

Proprio nelle città del sud si teme un’altra brutale rappresaglia delle forze russe che, dopo i 43 missili della scorsa settimana sul distretto di Mykolaiv, si sono visti danneggiare irrimediabilmente i due ponti che collegano Kherson alla Crimea, pregiudicando le uniche vie di fuga verso sud da cui arrivano anche rinforzi e rifornimenti.

Gli occhi del mondo sono però puntati su Zaporizhzhia, dove il polo energetico nucleare è ancora gestito da tecnici ucraini, sotto il controllo degli occupanti russi.

Il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, ha chiesto che agli ispettori dell’agenzia per il nucleare (Aiea) sia consentito l’accesso all’impianto, mentre Kiev e Mosca si scambiano le accuse per i bombardamenti a ridosso dei reattori.

Alle Nazioni Unite l’Ucraina ha chiesto di negoziare il ritiro «degli invasori dal territorio della stazione energetica e di creare una zona demilitarizzata». Yevhenii Tsymbaliuk, ambasciatore dell’Ucraina presso l’agenzia di controllo nucleare dell’Onu ha formalmente invocato l’invio di una missione internazionale guidata dalle Nazioni Unite entro la fine del mese. Poco dopo l’ambasciatore di Mosca presso l’Aiea ha fatto sapere che «la Russia è pronta a facilitare una visita dell’Agenzia al complesso».

Per motivi di sicurezza la produzione dei due reattori funzionanti (su un totale di sei) è stata ridotta a 500 megawatt. La portavoce del ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova, ha affermato che Mosca ha fatto «tutto il necessario già da alcune settimane » per rendere possibile la visita, che non si è potuta realizzare «a causa della resistenza ucraina». Petro Kotin, presidente della compagnia di energia nucleare ucraina Energoatom ha reagito mettendo in guardia la comunità internazionale: «La presenza delle forze di occupazione è il pericolo maggiore per il futuro, si rischia un incidente con radiazioni o addirittura una catastrofe nucleare», ha aggiunto.

Con l’elettricità a rischio, l’altra arma di ricatto è il gas, di cui «la Russia sta bruciando quello in eccesso che non esporta nei Paesi europei», secondo immagini satellitari della Nasa. In particolare le fiamme sarebbero state segnalate nella stazione di compressione di Portovaya, di proprietà di Gazprom, a partire da metà giugno, cioè dal momento in cui sono state limitate le consegne del Nord Stream 1, attualmente non superiori al 20% della capacità della conduttura.

A pesare sul campo vi è poi la controffensiva di Kiev nel sud occupato dai russi, in particolare sulla città di Kherson, a ovest di Zaporizhzhia, dove le forze ucraine hanno riconquistato diversi villaggi. Il contrattacco al momento ha le sembianze di una guerra di posizione. Frequenti colpi di artiglieria da una parte e dal-l’altra, mentre i comandanti misurano la risposta del nemico e la velocità di spostamento dei battaglioni. Sono le prove generali dello scontro massiccio atteso da un momento all’altro. Un mese fa le trincee erano a Shevchenkove, a metà strada tra Mikolayv e Kherson, interrompendo una striscia d’asfalto di neanche 50 chilometri. Negli ultimi giorni gli scontri si sono spostati alla periferia della città da cui si accede via terra alla Crimea che Mosca si è annessa otto anni fa. Per poterci arrivare, però, bisogna percorrere uno dei due ponti sul fiume Dnepr.

Ma entrambe le infrastrutture sono state danneggiate dal lancio dei missili americani Himars in dotazione da poche settimane ai reggimenti di Kiev. A Schevchenkove le tracce dei lanci sono evidenti. Sulla via d’asfalto tra i campi di girasole nei quali si scorgono blindati russi ridotti a ferraglia, si vedono dei cerchi anneriti del diametro di quasi due metri. È la fiammata dell’Himars a lasciare sul terreno quella firma indelebile. Mosca ha reagito prima con una mezza dozzina di missili lanciati in mattinata sui villaggi tra Odessa e Mykolaiv, poi annunciando di avere intercettato 19 Himars e ucciso 70 soldati nella regione di Kherson e 30 in quella di Mykolaiv. Non è stato possibile verificare questa notizia. Tuttavia i paramedici militari sulla linea del fuoco verso Kherson, raggiunti ieri da Avvenire, nel corso delle ore di luce non hanno trasportato cadaveri, ma alcuni feriti che abbiamo visto camminare sulle proprie gambe.

Tanto all’Onu, quanto ai militari sul terreno, appare chiaro che occorre prepararsi ad altri mesi di scontri. E se cinque mesi di conflitto, registrati in gran parte dopo l’inverno, hanno prodotto una crisi umanitaria senza precedenti, una guerra che attraverserà per intero le stagioni più fredde preoccupa tanto i civili rimasti nelle zone di combattimento che le agenzie umanitarie.

Il Coordinatore umanitario Onu per l’Ucraina, Denise Brown, ha invitato la comunità internazionale a continuare a sostenere le operazioni salvavita. La richiesta finanziaria è aumentata da 2,25 miliardi di dollari a 4,3 miliardi, per garantire le risorse necessarie fino a dicembre. «La realtà – ha detto Brown – è che un numero maggiore di persone ha bisogno di assistenza ». Almeno 17,7 milioni di persone, un quarto della popolazione ucraina, avranno bisogno di aiuti umanitari nei prossimi mesi. «Si tratta di un aumento di circa 2 milioni di persone – ha aggiunto – rispetto a quanto avevamo stimato».

Portare aiuti alla popolazione resta la sfida più difficile. Perché gli operatori umanitari diventano anche testimoni ed osservatori delle condizioni umanitarie e delle violazioni dei diritti umani. Occhi indiscreti che faticano a ottenere i permessi di accesso alle aree contese. In una nota l’ufficio Onu di Kiev ha perciò chiesto che oltre ai finanziamenti, «i gruppi di aiuto in Ucraina avranno bisogno di un accesso sicuro e senza ostacoli a tutte le aree colpite dalla guerra. Dall’inizio del conflitto – si legge –, l’accesso è stato estremamente difficile nelle aree fuori dal controllo del governo ucraino». Un’accusa rivolta direttamente a Mosca e alle milizie filorusse del Donbass e nel sud del Paese.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: