
ANSA
Gli attacchi Usa in Iran hanno lasciato segni profondi non solo nei siti colpiti, ma soprattutto nell'animo dei suoi abitanti. Piazza Enghelab a Teheran si è trasformata in un teatro di protesta, dove migliaia di cittadini hanno innalzato bandiere e cartelli contro quello che il governo ha definito un «attacco oltraggioso».
«Non possiamo più vivere così», racconta Fakhri, casalinga di 45 anni. «I nostri figli chiedono perché le sirene suonano di notte. Come possiamo spiegare loro che il mondo si è dimenticato di noi, che siamo diventati bersagli?». La sua voce tradisce una stanchezza che va oltre la privazione del sonno: è l'esaurimento di una popolazione che da mesi vive nell'incertezza.
La linea ufficiale mantiene un equilibrio precario tra la retorica della resistenza e l'apertura a possibili negoziati. Mentre il presidente Masud Pezeshkian ha condannato duramente gli attacchi Usa, definendoli «azioni che avranno conseguenze eterne per tutto il Medio Oriente», un funzionario del ministero degli Esteri, che ha accettato di parlare in forma anonima, rivela: «Il governo sta valutando tutte le opzioni, inclusa quella di chiudere lo Stretto di Hormuz. Ma sappiamo che, come ha detto il vicepresidente americano Vance, sarebbe un suicidio economico per noi». La minaccia sembra più uno strumento di pressione diplomatica che una reale intenzione operativa.
L'impatto più immediato degli attacchi si manifesta nella vita quotidiana dei cittadini. I supermercati della capitale hanno registrato un'impennata degli acquisti di beni di prima necessità, con scaffali svuotati in poche ore. Il prezzo del pane è aumentato del 30% in una sola giornata, mentre quello dello zucchero e dell'olio da cucina ha toccato picchi del 50%. Bahman, proprietario di una piccola drogheria nel quartiere di Vanak, descrive una situazione drammatica: «Le persone fanno scorte come se dovessimo affrontare un assedio di mesi. Il riso che vendevo a 50.000 rial al chilo ora costa 75.000. I miei fornitori non sanno quando arriveranno le prossime consegne».
Paradossalmente, il prezzo della benzina è rimasto stabile, segno che il governo mantiene ancora il controllo sui settori strategici dell'energia. Le reazioni dei cittadini oscillano tra la rabbia verso gli attaccanti stranieri e una crescente critica velata verso le scelte del proprio governo. «Sosteniamo la resistenza del nostro Paese – dichiara pubblicamente Milad, impiegato di banca – ma forse è arrivato il momento di trovare una soluzione diplomatica. I nostri figli meritano un futuro di pace».
Questa duplicità emotiva caratterizza gran parte della popolazione. Un dato significativo emerso negli ultimi giorni è l'esodo di decine di migliaia di persone dalla capitale. Molte famiglie, terrorizzate dalla possibilità di nuovi attacchi, hanno scelto di trasferirsi temporaneamente da parenti nelle province. Gli hotel delle città vicine registrano il tutto esaurito, mentre i prezzi degli affitti a breve termine sono triplicati.
«Preferiamo dormire all’aperto che restare qui», confida Sima, madre di tre bambini piccoli, mentre attende l’autobus per Esfahan. «Il governo dice che ci proteggerà, ma le bombe cadono lo stesso».
La galassia dell'opposizione iraniana si trova in una posizione particolarmente delicata. Le reazioni vanno da chi approva gli attacchi a chi li condanna, rivelando profonde divisioni strategiche che potrebbero compromettere qualsiasi tentativo di capitalizzare politicamente sulla crisi. I dissidenti del movimento “Donna, Vita, Libertà” da un lato, vedono negli attacchi americani un possibile indebolimento del sistema che li opprime; dall'altro, temono che l'escalation militare possa soffocare qualsiasi spazio di protesta civile. I leader che avevano presentato una Carta di Solidarietà per compattare le opposizioni ora faticano a trovare una linea comune.
«Vogliamo che il regime cada, ma attraverso la volontà del popolo iraniano, non grazie agli attacchi stranieri. Questo potrebbe renderci complici agli occhi dei nostri concittadini», confida in forma anonima un attivista.
La minoranza curda, tradizionalmente critica verso il governo centrale, mantiene un profilo basso, consapevole che ogni dichiarazione, in questo momento, potrebbe essere interpretata come tradimento nazionale. L'assenza di una leadership unitaria dell'opposizione si rivela ora un ostacolo cruciale per qualsiasi tentativo di presentare un'alternativa credibile al governo attuale. Mentre il regime può contare sull’effetto «uniti attorno alla bandiera» tipico dei momenti di crisi internazionale, l’opposizione rischia di apparire divisa e incapace di offrire una visione alternativa per il Paese.
L'Iran si trova ora a un bivio cruciale. Da un lato, la pressione popolare per una risposta forte agli attacchi americani; dall'altro, la consapevolezza che un’escalation militare potrebbe portare conseguenze devastanti per un'economia già provata da anni di sanzioni.
I bombardamenti hanno certamente rafforzato il senso di unità nazionale, ma hanno anche esposto la vulnerabilità di un Paese che si trova sempre più isolato sulla scena internazionale.