lunedì 26 aprile 2021
Enzo Pisani, dottore del Cuamm: «Può aver dato fastidio la nomina a vescovo di un religioso che aveva operato presso un’etnia rivale»
Padre Christian Carlassare è stato operato dopo l'agguato dell'altra notte a Rumbek

Padre Christian Carlassare è stato operato dopo l'agguato dell'altra notte a Rumbek - Ansa

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La prima accoglienza per padre Christian era stata festosa, non c’era stata alcuna avvisaglia, solo qualche preoccupazione legata alle norme anti-Covid a cui attenersi durante le celebrazioni. Ma Rumbek è considerata la capitale dell’etnia dinka, nemica storica dell’etnia nuer presso cui, nella diocesi di Malakal, padre Christian aveva operato per molto tempo. A qualcuno può aver dato fastidio la nomina di un vescovo che veniva non tanto dall’Italia, ma proprio dalla zona dell’etnia rivale. E quel qualcuno ha agito con un avvertimento». A dirsi convinto di questa ipotesi per l'agguato a padre Christian Carlassare è Enzo Pisani, medico da 40 anni in Africa tornato nel 2019 in Sud Sudan, dove coordina gli interventi dell’Ong Medici con l’Africa Cuamm.

Tra i medici che hanno soccorso e operato padre Christian dopo l’agguato c’è anche sua moglie, la dottoressa anestesista Ottavia Minervini. È stato un intervento difficile?

La difficoltà principale è stata quella di reperire del sangue compatibile per una trasfusione, visto che padre Christian ne aveva perso moltissimo a causa dei colpi di arma da fuoco. Il suo gruppo sanguigno, RH negativo, è raro in Africa. La fortuna è stata che un operatore del Cuamm fosse compatibile: grazie alla trasfusione la situazione si è stabilizzata. Poi è stato sollecitato il Comitato internazionale della Croce Rossa che si occupa del trasferimento dei feriti di guerra: sono stati loro a portarlo all’ospedale di Juba (prima del successivo trasferimento a Nairobi effettuato da Amref, ndr).

Cosa ha detto padre Christian dopo l’intervento?

Ha detto di essere deciso a tornare a Rumbek e a continuare la sua missione.

In attesa della sua consacrazione episcopale, che era prevista per il 23 maggio, come era stato l’impatto di padre Cristian con la comunità di Rumbek?

Ha cominciato a celebrare fin dal primo giorno del suo arrivo, lo scorso 15 aprile, quando era stato presentato alla comunità. Sapeva che la sfida era grossa, la comunità locale è molto gelosa della sua identità culturale. Ci sono zone della diocesi in cui clan e sottoclan si combattono per l’accesso ai pascoli e alle sorgenti d’acqua e padre Christian voleva imparare il dinka così come aveva imparato a Malakal il nuer. Le due etnie sono state unite solo nella comune lotta contro Khartum, fino all’indipendenza dal Sudan. Il fatto che a Rumbek non ci fosse un vescovo dalla morte di don Cesare Mazzolari nel 2011 dice abbastanza sulle difficoltà della zona.

Tra le sfide della regione c’è quella sanitaria…

Sì, assolutamente. Come Cuamm siamo presenti in tutti gli ospedali della regione per l’assistenza sanitaria di base. I nostri interventi raggiungono circa un milione di persone. Ci troviamo di fronte a emergenze di tutti i tipi e sono molte anche le ferite da guerra, per gli scontri frequenti. Da 15 giorni inoltre è iniziata la stagione delle piogge la malaria farà triplicare gli accessi in ospedale. Io sono in Africa dal ’79, ma quello del Sud Sudan è il sistema sanitario più fragile che abbia mai visto.

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