mercoledì 12 luglio 2017
Nel piccolo Paese del Corno d'Africa, che già ospita quattro basi tra cui una americana e una italiana, Pechino ha inviato un primo gruppo di militari: si allarga la sfera d'influenza nel continente
Uomini della Marina cinese

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Chi ha viaggiato in Africa negli ultimi anni se ne sarà accorto: la presenza cinese è in veloce aumento. Le infrastrutture e l’energia hanno guidato in questi anni la crescita di Pechino nel continente, che ha allargato in maniera costante la sua sfera di influenza. Negli ultimi 10 anni la Cina ha portato a termine in Africa, secondo l’agenzia Xinhua, 1.046 progetti, 2.233 chilometri di ferrovie e 3.350 di strade. E in corso d’opera ci sono altri 3.030 cantieri. La novità è che ora, sia per difendere i suoi interessi sia per questioni più prettamente strategiche e geopolitiche, la Cina passa alla “fase due”. Da ieri è stato infatti dato l’avvio formale alle attività di una base militare navale a Gibuti, piccolo Stato dell’Africa orientale, prima base di questo tipo al di fuori dei confini cinesi. La cerimonia per la partenza del primo gruppo di militari si è tenuta al porto di Zhanjiang, nella provincia del Guandong.


La base è stata ultimata nel giro di un anno e avrà tra i suoi compiti ufficiali “la cooperazione militare, le esercitazioni congiunte, la protezione dei cinesi all’estero, il mantenimento della sicurezza in rotte marittime strategiche internazionali”. Secondo le autorità locali, i militari impiegati non dovrebbero superare le 300 unità, ma potenzialmente la base potrebbe ospitarne 2mila. Al momento non è previsto un aeroporto, ma ci sarà un eliporto e un porto sufficiente ad accogliere navi da guerra.


Non sfugge, peraltro, che Gibuti sia anche sede dell’unica base militare stabile americana nel continente africano, situata a otto chilometri da quella cinese. Dalla base Usa di Camp Lemonnier, dove sono dislocati 4mila soldati, partono le missioni dei droni in Yemen e Somalia, oltre che operazioni delle forze speciali nella regione. Gibuti - situata in un punto strategico del Corno d’Africa e vicina anche allo stretto di terra che collega il continente con il Golfo di Aden e la parte meridionale della penisola arabica - ospita inoltre una base francese, una giapponese e una italiana “di logistica” con 110 uomini. Gibuti è anche al crocevia di importanti rotte del commercio marittimo e la base cinese – che potrebbe essere “replicata” anche in Pakistan - ha tra i suoi obiettivi anche la lotta alla pirateria nella zona.


Già lo scorso anno Pechino aveva inaugurato a Gibuti una nuova linea ferroviaria che collega il piccolo Stato all’Etiopia, salutando il progetto come l'esempio di "un nuovo modello di cooperazione" con i Paesi del continente. Lo stesso presidente cinese Xi Jinping, nel corso del suo ultimo viaggio in Sudafrica nel 2015, aveva ribadito che l’Africa è oggetto di forte attenzione da parte di Pechino, che punta ad investirvi 60 miliardi di dollari, tra cui 5 miliardi di assistenza a zero interessi e 35 miliardi in prestiti agevolati.


Sono centinaia le infrastrutture costruite nel continente dalla Cina, che in Africa invia anche la manovalanza: sarebbero un milione i cinesi sbarcati nel continente per lavoro. Tra i progetti maggiori c’è quello del porto di Bagamoyo, in Tanzania, che sarà il più grande scalo marittimo dell’Africa orientale. Un mese fa è stata inaugurata la nuova ferrovia che collega la capitale del Kenya Nairobi a Mombasa, il principale porto del Paese in riva all’Oceano Indiano: è costata 2,8 miliardi di dollari. Altri tasselli sono la ferrovia sudanese che va da Khartum a Port Sudan o la costruzione del nuovo porto di Massaua, in Eritrea. Non si contano poi gli accordi per lo sfruttamento di giacimenti di idrocarburi, come quelli con i governi di Ciad, Mauritania e Guinea Equatoriale, o gli accordi commerciali per il petrolio sudanese e angolano. Tutte “manovre” che garantiscono poi influenza anche a livello politico in un continente in cui cala invece progressivamente il peso di Stati Uniti ed Europa.

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