sabato 27 giugno 2015
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«Un atto di guerra, che non ha nulla a che fare con il vero islam che è la religione della pace e del dialogo », commenta a caldo Moussadak Jlidi. Professore di Scienze della cultura e islamologo all’università di Tunisi, è uno degli intellettuali tunisini più impegnato nel dialogo interreligioso. Ha appena visto sui siti internet le immagini dei due attentatori: «Il secondo è un ragazzo giovane, con nessun segno esteriore nell’abbigliamento che potesse far intuire intenzioni estemiste». Un attacco avvenuto nel secondo venerdì di Ramadan e nel giorno in cui un altro attentato ha colpito pure la Francia e per la prima volta un kamikaze si è fatto esplodere in una moschea in Kuwait. Siamo di fronte alla “globalizzazione dello Stato islamico”? Sono forze malvagie che vogliono nuocere all’immagine dell’islam e dare un’impressione che tutto il mondo musulmano sia caos: una strategia che supera gli obiettivi del movimento islamista tradizionale. Si tratta, piuttosto, di un complotto internazionale che, penso, possa beneficiare dell’appoggio di servizi segreti di alcuni Paesi. Non ho prove, non saprei quali, ma quello che appare è un disegno sovranazionale. In marzo c’era già stato l’attentato al Bardo. Perché prendere di mira la Tunisia in particolare? Un simbolo, forse, da colpire? È chiaro. La Tunisia è il simbolo di una conciliazione tra l’islam e la democrazia. Non si vuole dare l’impressione che questo sia realmente possibile. Forse è per favorire qualche regime: certamente ci sono dei regimi nella regione che non hanno interesse che la Tunisia riesca in questo processo di transizione democratica e vogliono che si tombi nel caos. C’è forse anche chi vuole coinvolgere, destabilizzare pure l’Algeria con i suoi giacimenti di petrolio e di gas. Con questi atti terroristici si vuole cercare di fermare, impedire questa transizione verso la democrazia. Qual è la reazione della popolazione dopo questo attentato. Si parla di una mobilitazione sui social network. C’è una protesta e una resistenza morale? Sì, c’è una resistenza morale fra la popolazione. Siamo, ovviamente, sotto choch e il cittadino tunisino medio è adesso in uno stato di collera per queste vittime: non importa che queste siano tunisine o straniere, per noi sono esseri umani le cui vite sono state spezzate. La popolazione, però, non si può arrendere alla disperazione e al pessimismo e deve continuare ad aspirare alla democrazia, a costruire una vita politica sana, a difendere i diritti dell’uomo e la morale della tolleranza e dell’accoglienza: tutto questo ho notato nelle reazioni dei miei concittadini. Queste forze islamiste, ci stanno sfidando e qualcuno si chiede fin dove vorranno arrivare in questo mese di Ramadan: cercano di dare una motivazione spirituale a quelle che sono solo azioni di odio. Si temeva che avrebbero potuto colpire nel Ramadan, e sfortunatamente non ci siamo sbagliati. Potrebbero colpire, magari ancora una o due volte in questo mese di Ramadan, ma noi semplici cittadini resistiamo, siamo solidali tra di noi per costruire il bene della Tunisia.
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