martedì 12 luglio 2016
 L'unica superstite della mattanza che ha azzerato la classe politica britannica
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E alla fine della corsa a restare in piedi è rimasta solo lei, Theresa May, nuovo leader dei tories e da domani (se non vi saranno clamorosi ribaltoni) nuovo premier britannico. La lunga corsa a Downing Street si conclude così, con l’ascesa di questa cinquantanovenne segretario di Stato per gli Affari Interni già circonfusa di un’allure che la apparenta alla mai dimenticata Iron Lady Margaret Thatcher (entrambe hanno avuto umili origini) e che il Guardian più modestamente la raffigura come «una preside che mantiene la calma davanti a una classe di allievi turbolenti ». Figlia di un vicario anglicano (come la Merkel, ma il suo di padre è luterano) sposata e senza figli, studi a Oxford, tempra dura, grande dedizione al lavoro, la May è il fortunato superstite di una mattanza che ha azzerato l’intera classe politica britannica all’indomani del voto sulla Brexit. La scia di cadaveri che s’intravede dietro di lei è imponente. Il primo è quello di David Cameron, premier uscente, colpito e affondato dalla sventatezza con cui ha promosso un referendum che credeva di vincere allo scopo di prolungare la propria fortuna politica e precipitato nello spazio di un mattino nella colpa ignominiosa di aver lacerato l’Unione Europea in nome dell’eccezionalità britannica. Caduto rovinosamente anche Boris Johnson, il biondo ex sindaco di Londra e principale sostenitore del “Leave”, dato per sicuro premier e leader del partito e trafitto invece a poche ore di distanza dal suo compagno di casacca Michael Gove, che lo definì pubblicamente «inadatto a ricoprire la carica di primo ministro», azzoppandone la corsa impetuosa. Salvo poi ruzzolare anch’egli a pochi passi dal traguardo, una volta resosi conto che la gara a due era ormai appannaggio di due donne ugualmente agguerrite, la May, appunto, e il ministro dell’Energia Andrea Leadsom. E mentre si sfoltivano i ranghi dei tories con un inoccultabile clangore di sciabole anche l’Ukip, la formazione che più di tutte lanciò e promosse la Brexit, perdeva il suo leader Nigel Farage, dimessosi prontamente dal partito: causa primaria, cessazione della ragione sociale del movimento. Farage tuttavia (molto poco british in questo) manterrà il suo seggio all’Europarlamento, per lo meno fino a quando vi sarà una presenza britannica a Strasburgo. Anche dalle parti dei laburisti ci sono sconquassi. Il leader Jeremy Corbyn, apertamente sfiduciato dalla maggioranza del partito,  è un morto che cammina, puntellato solo dai fedelissimi e dei ranghi sindacali. A sfidarlo c’è la sua ex ministra-ombra alle Attività Produttive, la cinquantacinquenne attivista gay Angela Eagle, che giusto ieri ha formalizzato la sua candidatura affermando di poter dare al Labour ciò che a suo dire «Jeremy Corbyn non può dare: una prospettiva di governo, lontana da missioni suicide». Restavano dunque la May e la Leadsom a contendersi il numero 10 di Downing Street, ma la Leadsom (che peraltro non era del tutto certa del pieno appoggio dei tories) scivolava su una buccia di banana banale quanto letale: si considerava – e incautamente lo ha detto in pubblico – più appropriata a svolgere il proprio compito di premier in quanto madre, a differenza della May, che di figli non ne ha avuti. Fine della corsa anche per lei. Al traguardo svettava solitaria Theresa May, che incassava l’entusiastico appoggio (un po’ di teatro e di dolce simulazione è indispensabile anche nelle aule severe del potere britannico) di Johnson e di Gove: un appoggio che verosimilmente lascia trasparire per entrambi delle cambiali da incassare a breve termine.L’agenda di Theresa May sarà dunque complicata e irta di insidie fin dal primo giorno. Dovrà gestire l’uscita del Regno Unito dall’Europa e lo farà senza sconti, anche se ha fatto già sapere che la richiesta formale non potrà arrivare prima della fine dell’anno, «per avere il tempo di definire la posizione britannica nel negoziato. In ogni caso – ha confermato – Brexit vuol dire Brexit». David Cameron, che oggi potrebbe trascorrere la sua ultima notte a Downing Street, si è detto «felice di sostenerla e di passere a lei le consegne ». Si sa che i politici sono spesso costretti a mentire. Ma qui si fa una gran fatica a credergli.
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