domenica 13 marzo 2016
«La scelta di noi francescani: restare in Siria»
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«Un pastore non abbandona il suo gregge e non si chiede se le sue pecore valgano molto o poco, se siano numerose o giovani. Per un pastore tutte le pecore sono importanti e le ama tutte allo stesso modo».  Usa una parabola evangelica il Custode di Terra Santa per spiegare che i «suoi» francescani non lasceranno la Siria. Anzi, l’intenzione è quella di rinnovare con maggior convinzione la propria presenza. Fra Pierbattista Pizzaballa ha preso quest’importante decisione, alla vigilia del sesto anno di guerra, dopo aver consultato i 300 frati di Terra Santa. «La Custodia – aggiunge il frate bergamasco – non ha mai abbandonato i luoghi e la popolazione che la Chiesa le ha affidato, anche a rischio di pericolo». A rimettere in discussione una presenza plurisecolare (l’istituzione della Provincia risale al 1217, per volere di san Francesco) è stato il rapimento di fra Dhya Azziz, parroco a Yacoubieh. La detenzione del frate iracheno, durata 12 giorni, ha posto una domanda fondamentale, se ha senso o meno continuare a rimanere nelle parrocchie del Nord o lasciare i 400 cristiani che vivono ormai stretti nella morsa di al-Qaeda. Non ci sono state grandi discussioni: la quasi totalità dei frati ha espresso da subito «e con chiarezza» il parere «che sia doveroso restare nei villaggi, senza considerazione per il numero dei parrocchiani, e nonostante il pericolo». Una decisione importante, segno di speranza per tutta la popolazione siriana che vive in guerra da cinque anni. Ecco perché nei villaggi del Nord è arrivato recentemente da Betlemme Louay Bhsarat, il giovane frate giordano che aveva dato la sua disponibilità ad andare in Siria «fin dall’inizio delle ostilità ». «Accoglienza, carità è unità: sono i tre aspetti che caratterizzano la nostra presenza ad Aleppo». Dalla città più colpita del conflitto padre Firas Lufti, viceparroco dei cattolici latini, fa eco alle parole del Custode. «La parrocchia è l’unico luogo che accoglie tutti ed è diventata un simbolo per i cristiani di Aleppo, cattolici, ortodossi, armeni. L’abbraccio tra papa Francesco e Kirill ci ha dato una consapevolezza nuova, di essere già uniti nel martirio. Spesso troviamo ortodossi e cattolici che piangono insieme a un funerale o gioiscono per un matrimonio. O anche per celebrare un battesimo. Col tempo siamo diventati letteralmente un ponte tra Oriente e Occidente». «Se la nostra presenza significa anche questo – chiede il frate – mi può dire perché dovremmo andarcene?».  Un altro che non sarebbe certamente scappato è padre Paolo Dall’Oglio. Dal 29 luglio 2013 purtroppo non si hanno più sue notizie. «Anche lui costruiva ponti di dialogo straordinari. Il suo convento era un luogo di accoglienza unico. Ma purtroppo non era ben visto dalla Chiesa siriana e dal regime». Nabil al-Lao, musulmano, ex rettore dell’Università di Damasco, oggi rifugiato in Italia, è uno di quei siriani che conoscevano bene il gesuita scomparso. «Dormiva spesso a casa mia quando passava dalla capitale. Assieme abbiamo commentato sulla tv italiana la visita di Giovanni Paolo II nel 2001 e condiviso momenti importanti, segno di un amicizia sincera». Per il professor Al-Lao padre Dall’Oglio era il siriano più coraggioso di tutti. «Quando il governo lo ha dichiarato persona non gradita, ha – nei fatti – decretato la sua morte». E tuttavia spera di rivedere ancora «quel sacerdote che ha vissuto la vita e la fede come un martirio annunciato, soprattutto negli ultimi mesi». «Mi auguro che sia vivo», chiude. «Perché quando si trattava di parlare della tradita rivoluzione siriana, io non avevo neanche il 5% del suo coraggio. Manca alla Siria, e molto anche a me».
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