domenica 28 giugno 2015
COMMENTA E CONDIVIDI
Certi anniversari non si vorrebbero mai ricordare perché sono nodi nel tempo che il presente non ha ancora sciolto. È il caso dell’anniversario che ricorre domani e che ricorda la proclamazione del “Califfato” islamico. Un anno in cui il nuovo potere ha dato sufficienti prove non solo del suo disprezzo di tutti i valori universali, ma anche della sua capacità di nuocere alle regole della buona convivenza tra culture e religioni. Lo hanno dimostrato gli attentati di venerdì in Tunisia, Francia e Kuwait contro «i crociati e gli apostati», ma lo avevano sperimentato molto prima sulla propria pelle cristiani e yazidi, espulsi dalle loro terre e venduti come schiavi.  L’allora «Stato islamico in Iraq e Siria» (Isis) aveva scelto emblematicamente il primo giorno del Ramadan (il 29 giugno 2014) per annunciare al mondo di aver mutato il proprio nome in «Stato islamico» e basta. E il restauro di quello che è stato considerato come «il dovere trascurato del nostro tempo» era giunto in un messaggio audio del portavoce del gruppo intitolato «Questa è la promessa di Allah». «Lo Stato islamico – recitava il messaggio letto da Abu Mohammad al-Adnani –, rappresentato all’uopo dai suoi elementi autorevoli tra nobili, comandanti, capi militari e Consiglio consultivo, ha deciso di proclamare il Califfato islamico, di nominare un califfo dei musulmani, e di prestare giuramento di fedeltà allo sceicco […] Ibrahim bin Awwad […]. Egli ha accettato il giuramento di fedeltà ed è così diventato imam e califfo di tutti i musulmani del mondo». La mossa, spiegava il portavoce, era conseguenza naturale dello «sventolio dello stendardo islamico da Aleppo a Diyala», ma è chiaro che era anche dettata dalla sorprendente – nonché umiliante – conquista di Mosul, avvenuta tre settimane prima, in cui il «califfo» Ibrahim avrebbe fatto da lì a poco la sua prima – e unica – apparizione pubblica.  Da allora, il Califfato ha fatto di tutto per mettere in atto il suo esemplicativo slogan: «bàqiya wa tatamaddad». In arabo, «perdura e si espande». Sul perdurare, le recenti rivelazioni dell’Ammministrazione americana secondo cui «ci vorranno anni» per sconfiggere lo Stato islamico non sono certo entusiasmanti. L’espansione si fa poi in tutte le direzioni, nonostante i jihadisti abbiano dovuto battere in ritirata su diversi fronti, come a Tikrit, Baiji, Tell Abyad e Ain Issa. Gli uomini di Abu Bakr al-Baghdadi sono così riusciti a inglobare nel Califfato Palmira e Ramadi, mentre continuano a lanciare incursioni contro l’area di Kobane (teoricamente liberata dai curdi dopo mesi di combattimenti) e a Hassaké, nel nordest siriano. In questi mesi, lo spettro dell’Is ha continuato inoltre a planare minaccioso su due importanti metropoli, Baghdad e Aleppo, sconfinando non di rado nei territori di altri Stati mediorientali, come la Giordania, il Libano e l’Arabia Saudita.  Non meno rilevanti le «conquiste» conseguite dal Califfato al di fuori dei territori siro-iracheni, segno tangibile di una globalizzazione della lotta jihadista. Dal novembre dell’anno scorso a oggi, è stato un susseguirsi di proclamazione di nuove province. La prima “wilaya” extra metropolitana è stata la Penisola del Sinai, nata grazie all’adesione del gruppo Ansar Bayt al-Maqdis (i Partigiani di Gerusalemme) allo Stato islamico. Sono poi nate tre province libiche: Barqa (la Cirenaica), con epicentro a Derna dove era spuntato il primo emirato sul Mediterraneo, la Tripolitania e il Fezzan. Nel suo messaggio del 13 novembre scorso, Baghdadi ha parlato dell’estensione della sua autorità ad altri territori ancora, citando espressamente l’Algeria e lo Yemen, ancora una volta grazie all’adesione al Califfato (ma meglio parlare di vere e proprie scissioni) di gruppi già legati ad al-Qaeda.  Il 16 febbraio scorso è stata poi proclamata una provincia del Khorasan, comprendente Pakistan e Afghanistan. Una proclamazione che suonava come una vera sfida alla principale roccaforte di al-Qaeda e ai suoi alleati taleban. L’ultima wilaya in ordine di tempo è quella nata pochi giorni fa nel Caucaso in seguito al giuramento di fedeltà del principale gruppo di ribelli islamici russi, l’Emirato del Caucaso, portando a trentadue il numero dei movimenti jihadisti nel mondo che si sono uniti allo Stato islamico. Espansione anche nel cuore dell’Africa, dove l’adesione del gruppo nigeriano Boko Haram, avvenuta l’8 marzo, ha permesso al-l’Is di aprire un’importante breccia in un’area fino ad allora chiusa al suo richiamo. Secondo IntelCenter, un centro di sorveglianza americano sui gruppi estremisti, altri dieci gruppi hanno manifestato il loro sostegno all’Is senza aver formalmente siglato un’alleanza.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: