sabato 24 gennaio 2015
Stipendi falcidiati e la tortura delle bollette anche nel cuore di Atene.
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Delta, epsilon, eta, le tre lettere del logo “Dei” (la eta nel greco moderno si pronuncia “i”) sono attraversate da una saetta rosso carminio. Con la sua maschera azzurrina, dietro alla quale si cela un display a cristalli liquidi, il contatore ha l’aria di un rassicurante strumento domestico. Appesa a un’asola della mascherina c’è una strisciolina di cartone che indica dove è possibile pagare la fornitura: in banca, negli uffici postali, nei supermercati Carrefour, tramite Wind, Vodafone o a un dispenser Atm. La Dei è la compagnia pubblica che fornisce elettricità al 95% degli utenti greci. Da anni per molti di essi il “métritis eléktricou réumatos”, cioè il contatore, è diventato lo strumento di una tortura quotidiana.  Anche Ioannidis gli passa accanto senza guardarlo, come fosse un occhio maligno del quale non si vuole incrociare lo sguardo. Ioannidis è un miracolato. Numerosi abitanti di Agia Paraskevi lo sono. «Per sette mesi – dice – il contatore è rimasto spento. Non avevo pagato due rate dell’imposta sulla casa e mi hanno tolto la corrente. Niente frigorifero, niente computer, televisione, lavatrice. Andavo a lavare i panni da mia sorella e a mangiare dove capitava. Lo Stato mi aveva tagliato lo stipendio, da 1.450 euro, un buon stipendio, a soli 400. Con 400 euro non fai niente. Sopravvivi, ma non paghi la luce, solo il gas. E per l’affitto ti devi far prestare dei soldi dai parenti». Aghia Paraskevi (che prende il nome da una martire cristiana del II secolo) è un bel quartiere residenziale nella zona nordorientale di Atene e non è un ghetto afflitto dalla povertà. Ma gli artigli della crisi sono arrivati fin qui, in questo agglomerato di impiegati pubblici, di insegnanti, di vigili urbani. Stipendi falcidiati, licenziamenti, la ricetta della Troika non ha risparmiato nessuno. In effetti non c’era via di scampo: con un sadismo degno della più tetra distopia di Jonathan Swift il “metritis” è diventato il giudice supremo della condotta degli ateniesi: basta una qualunque imposta non pagata, dalle tasse universitarie a quelle sui rifiuti e il rischio di vedersi spegnere la luce è altissimo, quasi inevitabile. «I politici si giustificano – dice Ioannidis – , danno la colpa al Pasòk, alla Germania, all’Unione Europea, a Papandreou che si è genuflesso davanti ai potenti di Bruxelles. In realtà nessuno ha potuto fare niente. E questo è il risultato».  «L’anno scorso – dice Sarkulla, sorella di Ioannidis – nell’edificio qui di fronte hanno cominciato a bruciare dei mobili. Legna per riscaldarsi. Il condominio aveva finito i soldi per pagare la nafta della caldaia. In tutta la via c’era un terribile odore. Qualcuno ha detto che era diossina. E forse non c’era solo legna, ma anche materie plastiche. Per fortuna che poi è intervenuta Syriza...».

Syriza. La fatina buona di questa favola a lieto fine si chiama Rena. Rena Dourou. Dal maggio scorso è governatrice del-l’Attica ed è l’unica personalità del partito a ricoprire un incarico pubblico di spicco. È stata lei a far scendere a patti la Dei e a restituire la luce ai contatori in coma. E sempre lei promette, come del resto lo assicura Alexis Tsipras, che Syriza una volta al potere riattiverà i contatori per tutti gli anziani, gli indigenti, i pensionati single. Ci spostiamo più a sud, tra il Pireo e Pérama, uno dei quartieri più popolari di Atene. Qui il maglio dell’austerity ha lasciato ferite profonde e visibili ad ogni angolo di strada. Piccole cucine da campo, birocci malandati trasportano zuppa di verdura e “koulouri”, le ciambelle più diffuse in tutto il Peloponneso. Non ci sono file di indigenti: un’immensa quasi straziante dignità impone a chi ha bisogno di cibo di avvicinarsi come per caso, come per curiosare e a chi il cibo ce l’ha già di non soffermarsi troppo a guardare. «Facciamo almeno settecento pasti al giorno – dice Xenia, studentessa universitaria – ma a volte arriviamo a mille». Di che organizzazione siete? «Di nessuna. Siamo di qui, del Pireo. C’è molta gente che ha bisogno di cibo e preferisce non dirlo. Quasi tutti pensionati. Certo che aver tagliato del 30% le pensioni in cambio di 240 miliardi di prestiti mi sembra un crimine. O erano meno di 240?». Quattro anni di crisi e di austerità hanno portato Syriza sugli scudi e un terzo della popolazione sul fragile crinale tra la povertà e l’indigenza. Per alcuni è scomparsa perfino la speranza, sostituita da una scabra sfiducia in qualsiasi futuro. «Era davvero necessario – dice Vasili Sotiros, ingegnere disoccupato – tagliare del 22 per cento i salari minimi facendoli scendere da 751 a 600 euro? Era indispensabile portare certi ticket sanitari da 1 a 60 euro, con il risultato che centinaia di migliaia di persone sono nell’impossibilità virtuale di curarsi? Lo sa cosa costa una vaccinazione? 80 euro. E molta gente se li sogna 80 euro». Voterà Syriza, immagino, ingegnere. O magari i comunisti del Kke... «No, non andrò a votare ». Perché? «Tsipras è giovane, è bravo, ma finirà per diventare il migliore amico dei capitalisti. E farci digerire l’austerità con parole che suonano dolci, ma che sapranno di amaro».  Spinto dall’Etesio, il vento del nord, un profumo di mirto, rosmarino e olivastro si mescola nell’aria ancora fredda di gennaio. Un accenno di primavera. In attesa della fin troppo annunciata vittoria di Syriza. 

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