giovedì 16 ottobre 2014
​Oggi l'udienza: una memoria smonta l'accusa. I legali ribattono punto per punto alla condanna a morte per blasfemia della donna cristiana.
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Assoluzione con formula piena, perché il fatto non sussiste: è la richiesta che il team di avvocati di Asia Noreen Bibi, madre cristiana pachistana condannata a morte per blasfemia e in carcere da 1.943 giorni, presenta all’Alta Corte di Lahore nell’udienza in programma quest’oggi. Salvo nuove sorprese, il collegio guidato dal giudice Anwar ul Haq dovrebbe accettare le «argomentazioni finali», una memoria scritta che riassume le tesi delle parti, ultimo atto prima della sentenza di appello. Il caso dovrebbe essere esaminato dopo una serie di rinvii per i motivi più disparati, inclusa la difficoltà a trovare un collegio giudicante. Hanno lavorato notte e giorno i legali della donna per smontare, pezzo dopo pezzo, il debole impianto accusatorio che ha generato il verdetto di condanna emesso in primo grado, l’8 novembre 2010. Dalla memoria difensiva, consultata da Avvenire, emerge il quadro di un complotto ordito ai danni di una contadina che, se avesse accettato di convertirsi all’islam – come propostole più volte – avrebbe potuto evitare il calvario di oltre cinque anni carcere.  Fin dal principio, si nota, la vicenda giudiziaria di Asia Bibi è stata viziata da irregolarità. Negli interrogatori preliminari, condotti dalla polizia dopo la denuncia per «vilipendio al profeta Maometto», Asia non ha avuto un avvocato, e per questo il processo potrebbe essere invalidato. Inoltre il castello delle accuse crolla miseramente di fronte alle evidenze dei fatti. In primis, rimarca il documento, i testi hanno rilasciato deposizioni intessute di discrepanze e contraddizioni. D’altro canto, pesa come un macigno un inspiegabile ritardo: la presunta blasfemia è avvenuta il 14 giugno 2009, mentre la denuncia alla polizia è stata presentata solo cinque giorni dopo. Su questo rinvio – un fatto rilevante in sede penale – l’accusa non ha prodotto alcuna giustificazione. In quei cinque giorni è stata orchestrata ad arte la vendetta contro Asia, punita perché, da cristiana, aveva avuto l’ardire di insultare due donne musulmane.  Un altro fatto, spiegano gli avvocati, contraddice i principi della giustizia penale: il principale accusatore di Asia, colui che ha sporto denuncia, è Qari Mohammad Salam, imam di una moschea del villaggio di Ittanwali, in Punjab. Salam, però, non era presente al momento del presunto atto di blasfemia e il suo racconto si basa solo sul «sentito dire». Circostanza, questa, che già la polizia avrebbe dovuto registrare e che il tribunale di primo grado non poteva e non doveva ignorare. Frutto di una illogica forzatura è anche la presunta confessione di Asia, invocata dalla Procura: la donna, infatti, si è sempre dichiarata innocente, anche di fronte alle pressioni. Raccontando la sua versione, Asia ha semplicemente ammesso di aver avuto un alterco con le due musulmane. Secondo il Procuratore, tali insulti si sono ben presto trasformati in blasfemia, dunque «ammessa dall’imputata». Come spiegano i legali, per formulare un’accusa in base alla legge di blasfemia – approvata in Pakistan ai tempi del dittatore Zia ul Haq – bastano prove testimoniali, mentre non è previsto un meccanismo che punisca chi presenta false accuse. La legge diventa, così, strumento di vendetta in controversie private. Per questo le Chiese e gruppi della società civile in Pakistan ne chiedono la revisione, mentre le vittime innocenti, musulmane e cristiane, continuano ad aumentare. Le palesi incongruenze nel processo ad Asia Bibi, ricordano gli avvocati ad Avvenire, furono descritte nel rapporto consegnato nel 2010 dal ministro cattolico Shahbaz Bhatti e dal governatore del Punjab, Salman Taseer (un musulmano), all’allora presidente del Pakistan, Ali Zardari. Quel rapporto, che denunciava una condanna «comminata per le pressioni degli estremisti islamici, ignorando i fatti realmente accaduti», costò la vita ai due politici, uccisi entrambi da mano terrorista nel 2011. Se i giudici di Lahore faranno il loro dovere e giudicheranno con obiettività, assolvendo Asia Bibi, il loro coraggio sarà servito a qualcosa.
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