mercoledì 22 marzo 2017
Patience aveva 25 anni ed era incinta quando è stata rapita. Riuscita a scappare, rapita nuovamente, ancora fuggita. Il racconto delle efferatezze patite dai cristiani a opera del califfato africano.
Patience assieme alla sua bambina e alla giornalista tedesca Andrea Hoffmann.

Patience assieme alla sua bambina e alla giornalista tedesca Andrea Hoffmann.

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Il titolo dice tutto. O forse poco. Perché veramente è il peggiore degli incubi quello che una giovane donna cristiana nigeriana, Patience, ha incontrato nei due rapimenti subiti da Boko Haram, vicende che Andrea Hoffmann, giornalista tedesca di vaglia (ha al suo attivo già un libro su una donna yazida sotto il Califfato, La schiava bambina dell’Isis, Piemme), ha raccontato con penna partecipe e sagace in un libro che lascia senza respiro. Leggendo Sono stata all’inferno. In fuga da Boko Haram assieme a mia figlia (Centauria, pp. 268, euro 16,50) sembrano riecheggiare fatti, episodi, parole, annotazioni che abbiamo già incontrato. Ma dove? Nella letteratura che ci ha raccontato la follia dei lager nazisti o quella dei gulag sovietici.

Nella vicenda di questa giovane mamma (Patience, 25 anni, era incinta quando è stata rapita dai terroristi islamisti dal suo villaggio Ngoshe, nei dintorni della città di Maiduguri, nel Nord della Nigeria) si rispecchiano molti aspetti del totalitarismo novecentesco: l’ideologia che si impossessa degli uomini fino a farli commettere gesti bestiali; la sofferenza estrema e innocente di donne, bambini, anziani; l’insensatezza della violenza cieca. Un esempio? Sembra di leggere i resoconti sullo sterminio degli ebrei nei territori dell’Urss conquistati dai nazisti quando si legge la storia di Patience: «Alcuni raccontarono che i terroristi massacravano senza pietà tutti i prigionieri ritenuti inutili. Sembrava che Ngoshe, la mia città, fosse stata il teatro di eventi particolarmente sanguinosi. I sopravvissuti ci riferirono che agli abitanti cristiani era stato ordinato di scavare delle fosse e poi di mettersi accanto a esse e aspettare, mentre i miliziani passavano a decapitarli uno dopo l’altro».

Ma c’è di più, purtroppo: Hofmann ha incrociato la testimonianza di Patience con quella di altri spettatori oculari. E così scopriamo sadiche vicende di cannibalismo praticato dai terroristi del Califfato africano, così come fatti di violenza inaudita e inenarrabile contro donne incinte e le creature che esse portano in grembo. Gesti disumani che hanno veramente i colori dell’inferno. La storia di Patience è quella purtroppo che molti nigeriani hanno vissuto negli ultimi tempi, da quando (2010) Boko Haram ha lanciato la sua offensiva terroristica su larga scala: l’uccisione del primo marito, la razzia nel suo villaggio, il rapimento insieme ad altre ragazze (i maschi cri- stiani vengono decapitati sul posto da Boko Haram, che non fa prigionieri, ma solo prigioniere); i matrimoni forzati di ragazzine anche di 12 anni con miliziani assetati di sangue e piacere.

Patience riesce a scappare, grazie alla complicità di un ex cristiano diventato per forza affiliato a Boko Haram, un ragazzo che ha pietà di lei. Ma la ragazza, incinta del marito, ricade, letteralmente, in un’altra trappola del sanguinario gruppo armato. E solo il coraggio e l’audacia della giovinezza, insieme (anche in questo caso) alla 'soffiata' di un insider, gli restituiscono la libertà. E la possibilità per noi di leggere la sua storia. Detta così, la vicenda che Patience ha raccontato a Hoffmann sembra il plot di un film hollywoodiano a lieto fine. E invece racchiude molti drammi nel dramma: l’uccisione della madre oltre a quella del secondo marito.

Ma c’è anche, in questo racconto, la diagnosi dell’assurdità del terrorismo in salsa islamista: «Fuori iniziava a fare buio. Nel cortile sentii gli uomini di Boko Haram pregare. Che strano Dio è il loro, pensai. Quale Dio ordina ai suoi fedeli di uccidere o catturare altri esseri umani? Era lo stesso Dio che pregavano i nostri vicini musulmani? Loro non si erano mai comportati così e non avevano mai neppure accennato al fatto che Dio gli ordinasse di farlo. Anche se non ne sapevo molto, sospettavo he quegli uomini si stessero sbagliando di grosso. Qualcuno doveva aver avvelenato le loro menti». In quest’innocente considerazione di Patience c’è molta concreta e sapiente comprensione di cosa sia il terrorismo di marca islamista, una strumentalizzazione della religione a scopi politici.

Si accennava prima che, pur nel suo tratto cronachistico, il libro pare riecheggiare l’alta letteratura che ha raccontato i totalitarismi e le violenze del secolo breve. Sembra quasi di trovarci anche un’eco del romanzo Silence di Shusaku Endo (portato sugli schermi di recente da Martin Scorsese) quando Patience, testimone di tanta efferatezza contro i cristiani da parte di sedicenti islamici, non si trattiene dal domandare conto a Dio di tutto ciò: «Mi imposi di allontanare ogni dubbio dal mio cuore. Avevo bisogno del mio Dio, ne avevo bisogno più di ogni altra cosa al mondo. Imploravo il Signore di farmi uscire da quell’inferno e riportarmi a casa. Pregai per la salvezza delle altre ragazze. 'Nessuna di noi ti ha rinnegato. Abbiamo soltanto fatto finta di pregare Allah', dissi, convinta di parlare a nome di tutte».

Il villaggio di Patience si trova a pochi chilometri da Chibok, il luogo dove a metà 2014 avvenne un rapimento di massa di 276 ragazze. È proprio la Hofmann a ricostruire le motivazioni di un gesto tanto eclatante dell’attuale capo di Boko Haram, Abubakar Shekau: accecato dall’odio per il fatto che la moglie e i tre figli erano stati arrestati mentre con lui si trovavano a una festa nei pressi di Maiduguri, Shekau ha deciso di vendicare il suo orgoglio ferito di maschio (l’essere stato umiliato dall’esercito nigeriano per il fatto di non aver difeso i suoi) rapendo oltre 200 ragazze innocenti. E perché questi rapimenti? Hoffmann racconta che la ragione che spinge Boko Haram a compiere questo genere di azioni è semplice: «Donne e ragazze sono la merce con la quale Shekau compra la lealtà dei suoi seguaci. In un Paese in cui molti giovani non trovano lavoro e di conseguenza non possono sposarsi, la prospettiva di ottenere una moglie come bottino di guerra diventa molto allettante». Ecco, ora anche grazie a libri come questi non possiamo dire di non sapere. La comunità internazionale non può girarsi dall’altra parte, come in altri casi, purtroppo, è avvenuto.

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