martedì 8 marzo 2022
Il presidente Zelensky tra scenari apocalittici e caute aperture alla trattativa con Mosca. E spunta anche la diplomazia cinese
Il presidente Zalensky

Il presidente Zalensky - .

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Il tredicesimo giorno di guerra in Ucraina ha visto accelerazioni su vari fronti, che però devono ancora mostrare un esito concreto e rilevante perché si raggiunga un cambio di scenario, anche se a sera il fronte dell’energia prometteva svolte repentine. Si è cominciato con l’annunciata apertura di corridoi umanitari. Alcuni sono sembrati funzionare, ma presto a Mariupol, città straziata delle bombe fino alla sera precedente insieme a Sumy, con bambini fra le vittime civili, i nuovi cannoneggiamenti dei russi hanno impedito almeno in parte l’uscita in sicurezza della popolazione che voleva abbandonare la zona.

Quella delle evacuazioni è una concessione a doppio taglio. Da una parte, certamente, permette ai più fragili, agli inermi, di mettersi al sicuro. Dall’altra, tuttavia, porta un vantaggio diretto e uno indiretto all’aggressore. Il primo è quello di potere poi colpire senza remore le zone in cui gli abitanti hanno avuto la possibilità di allontanarsi: il fuoco può aumentare e verranno evitate le proteste internazionali per le vittime non in armi. Il secondo vantaggio è quello di usare i profughi come un’arma. Il drammatico esodo verso Occidente degli ucraini, soprattutto donne, giovanissimi e anziani, ha ormai raggiunto la cifra di due milioni di persone e non accenna a rallentare. Se l’accoglienza europea è oggi forte e lodevole, domani l’aumento costante degli esuli potrebbe indebolire il sostegno a Kiev, facendo prevalere le spinte a un compromesso quale che sia pur di interrompere gli arrivi.

Il secondo sviluppo cui si è assistito riguarda le dichiarazioni del presidente Wolodymyr Zelensky, il quale ha prima evocato una Terza guerra mondiale nell’estendersi del conflitto tra il suo Paese e Mosca, per poi invece aprire a una trattativa in cui l’Ucraina potrebbe considerare le principali richieste di Vladimir Putin, ovvero il riconoscimento della Crimea occupata dal 2014 come appartenente alla Russia, una piena autonomia delle autoproclamate repubbliche filorusse del Donbass e la neutralità dell’intera nazione, con l’implicita rinuncia ad aderire alla Nato. Basteranno, a questo punto dello scontro, queste offerte per fare decollare il negoziato e portare a una vera tregua? Di fronte alla fiera e sprezzante retorica politica che ha guidato dal palazzo di Kiev la resistenza armata, l’improvviso cambio di linea, qualunque ne sia il seguito, potrebbe essere letto come un segno di debolezza. Ma anche come un atto di ragionevolezza, per evitare un massacro e una distruzione ancora più estesi e trovare una via di uscita dalla crisi che possa in qualche modo soddisfare tutte le parti.

I colloqui che dovrebbero riprendere a ore con la mediazione turca potrebbero sfruttare la svolta di Zelensky per saldare tutti gli interessi in gioco. Il risultato sul campo sarebbe probabilmente insufficiente per il Cremlino, a questo punto delle operazioni belliche. A meno che vi si unisca un potenziale alleggerimento delle sanzioni a Mosca, compresa la sospensione da parte americana e britannica dell’acquisto di petrolio e gas. Le ritorsioni economiche appaiono per una volta efficaci anche nel breve periodo, ha riconosciuto anche il premio Nobel Paul Krugman. Se, come fatto balenare dal presidente Xi Jinping nel primo colloquio con i leader europei dallo scoppio della guerra, pure la Cina metterà il suo peso diplomatico per un’intesa che porti alla revoca delle sanzioni, allora la diplomazia potrebbe trovare una via più larga e agevole. Le contromosse di Mosca alle decisioni di Biden e i toni nuovamente accesi di Zelensky hanno però rimescolato le carte a tarda notte. Nel frattempo, l’offensiva non si ferma, seppure l’avanzata abbia il ritmo lento dei bombardamenti non seguiti da chiari successi sul terreno.

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