Anche nella vecchia e stanca Europa il cristianesimo non è morto
La scommessa, di fronte all’esplosione dell’analfabetismo religioso e dell’indifferenza verso la fede da parte dei giovani, è innanzitutto culturale. Ma in Italia i confronti su questi temi sono rari
«In diversi Paesi europei secolarizzati, come la Germania, Dio è diventato del tutto estraneo per molti. Sembra lontano, astratto, impersonale, impossibile da comprendere o da toccare, ma anche difficile da sentire o da sperimentare; una vaga fantasia, semplice di per sé eppure complessa, in qualche modo inconsistente; o una pura idea, che appare per di più paradossale, peraltro impossibile da fondare o dimostrare, non più adatta a un mondo funzionale e proprio per questo tormentato dalle crisi. E non si danno nemmeno risposte a domande profonde: se Dio ha fatto buone tutte le cose, da dove viene tutto il male attuale? Perché egli non se ne cura, se è buono e onnipotente? Dove va a finire il mondo se non nel nulla?»: così inizia la sua severa analisi della situazione religiosa in Europa il gesuita tedesco Stefan Kiechle nell’ultimo numero di Civiltà cattolica. In un articolo dedicato al boom strepitoso che stanno avendo gli angeli, l’autore prima di entrare nel dettaglio del fenomeno affonda i colpi sugli effetti della secolarizzazione: «Oggi difficilmente si crede che alcuni esseri umani siano plasmati dal divino e che rimandino a Dio. L’uomo contemporaneo, cresciuto nella modernità, è troppo informato, troppo realistico, troppo critico. Una religione personale? A questo punto, sarebbe più facile adottare una spiritualità impersonale. Nella religione, crea difficoltà soprattutto l’elemento personale, che tuttavia nel cristianesimo è irrinunciabile».
Per questo – ed è paradossale – gli angeli ci possono permettere un accesso più facile alla religione, perché essi appaiono « piacevolmente anonimi, anche androgini, non binari, compatibili con il queer, oppure del tutto incorporei, come un soffio fugace». Un sociologo che ha segnato gli ultimi decenni, Zygmunt Bauman, ha denominato la religione postmoderna come una “religione minima”, fatta di una spiritualità flessibile, slegata dai dogmi e dalla razionalità che ha distinto la civiltà occidentale. In poche parole, una religione senza Dio. Tutto vero, ma in realtà anche dopo l’ondata di secolarizzazione che ha caratterizzato la modernità, il principio religioso non si è affatto esaurito nemmeno nella stanca Europa. Anzi, è sbagliato parlare di “ritorno del religioso”: in realtà non è mai scomparso. A volte con forme impazzite e con strumentalizzazioni politiche, beninteso. Però tutta la retorica sul declino della religione e del cristianesimo in particolare andrebbe quantomeno relativizzata. Quasi mezzo secolo fa (era il 1977), il grande storico Jean Delumeau pubblicò un saggio dal titolo provocatorio: Il cristianesimo sta per morire? La sua risposta fu molto meno allarmista. Si può riassumere in una citazione: « Il Dio dei cristiani era un tempo molto meno vivo di quanto credessimo ed è oggi molto meno morto di quanto diciamo». Checché dicano i nostalgici del bel tempo che fu, non c’è motivo di considerare il periodo del cristianesimo o precedente al Vaticano II un’età dell’oro, purtroppo finita, quando la fede e l’appartenenza alla Chiesa erano largamente maggioritarie. Come ha scritto Jean Duchesne in una serie di articoli sul sito francese di Aleteia.org contro l’allarmismo sul futuro del cristianesimo, esso non dipende dall'evoluzione della pratica religiosa valutata da storici e sociologi. « La Chiesa è molto più di un fatto misurabile», sostiene il saggista, che prosegue: «Statistici, sociologi, storici, archeologi e altri analisti delle espressioni artistiche e letterarie della pietà vissuta lavorano su indici visibili ed echi misurabili. Niente di tutto ciò ci permette di concludere che il cristianesimo sia sul punto di instaurare il regno di Dio sulla terra, o, al contrario, di scomparire. In una parola, il tasso di pratica religiosa osservabile non è mai stato il barometro infallibile della fedeltà della Chiesa alla sua missione o del successo del piano di Dio. E non c'è motivo per cui dovrebbe essere diverso ora». Non ne consegue, tuttavia, che il posto della fede nella società sia di scarsa importanza. Al contrario, è vitale. Per questo i cristiani non possono accettare di rinunciare a farsi sentire. È chiaro che molti indecisi si scoraggiano quando l'immagine della Chiesa nei media e nella cultura viene danneggiata, o addirittura resa negativa da scandali come la pedofilia. La scommessa, dinanzi all’esplosione dell’analfabetismo religioso e dell’indifferenza verso la fede da parte dei giovani – checché ne dicano certi sondaggi – è innanzitutto culturale. Ma in Italia dibattiti aperti su questi temi purtroppo sono rari, il mondo cattolico è afflitto da pigrizia intellettuale. La questione però è decisiva: si tratta dell’engagement cristiano capace di esprimere una resistenza culturale e spirituale insieme, una testimonianza evangelica che non si ammanta di esibizionismo, ma si realizza nei gesti quotidiani.
Non si tratta di esprimere una “controcultura”, quanto un diverso orientamento di vita fondato sul Vangelo. Segno di quella che il teologo ortodosso Olivier Clément prefigurava come un “cristianesimo della libertà”, non più fondato sulla rivendicazione del potere e sull’ossessione della sessualità: un cristianesimo rinnovato «che non separi più il sacramento dell’altare e il sacramento del fratello, una religione dei volti e della bellezza». Sempre Duchesne sottolinea un fenomeno intrigante a conferma che il futuro della Chiesa quaggiù non dipende essenzialmente dal suo indice di gradimento: il netto aumento negli ultimi due anni Oltralpe del numero di battesimi di adulti. « Non è il risultato – afferma - di un ritorno al cattolicesimo rilevato nei sondaggi, né del successo di una campagna di comunicazione o di una strategia apostolica. Le motivazioni sembrano essere state molto diverse, al punto che si intravede l’ingegno dello Spirito Santo. Molti sono entrati consapevolmente nella Chiesa così com’è, cioè imperfetta, senza per questo comprometterne la realtà fondamentale e non quantificabile, che si concretizza e si sperimenta nella Messa. Questo è ciò che questi catecumeni hanno potuto percepire e che rimane perpetuamente da riscoprire da tutti ed è per questo che la Chiesa non fallisce finché celebra l'Eucaristia a porte spalancate». Un piccolo segno, insomma, che anche nella vecchia e stanca Europa il cristianesimo non è affatto morto.
© RIPRODUZIONE RISERVATA






