mercoledì 1 giugno 2022
Palestinese araba cristiana, 84 anni Per quasi mezzo secolo da farmacista a Nazaret ha intessuto relazioni di pace. Il suo racconto ha aperto il XVII Convegno nazionale di pastorale giovanile
Violette Khoury

Violette Khoury - SIR/Marco Calvarese

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«Sono nata in Palestina durante la Seconda guerra mondiale, nel 1938, in una terra dove l’imprevedibile, che è il tema di questo convegno, lo si tocca con mano ogni giorno, fin da quando veniamo al mondo». Risuona nel silenzio attento del palazzetto dello sport l’accento francese di Violette Khoury, donna palestinese cristiana israeliana chiamata a fare sentire la propria voce all’interno di un incontro al femminile con la pedagogista Luigina Mortari, editorialista di Avvenire, e la conduttrice del programma di RaiDue 'Sulle vie di Damasco', Eva Crosetta. La storia di questa minuta signora di 84 anni, arrivata a Lignano da Nazaret insieme con la figlia, ha catturato per due ore l’attenzione della platea proprio per la sua attualità e forza: «L’Italia ha significato una svolta nella mia vita - ha esordito Violette -. Arrivata qua quando avevo vent’anni, come molti di voi, ho scoperto che esisteva gente che viveva in pace, senza timore di guerre e attentati. Dopo un’infanzia e un’adolescenza segnate dell’incertezza, dalla paura, da perenni umiliazioni, avevo chiesto un permesso militare per potermi iscrivermi all’università a Gerusalemme. Mi sarebbe stato accordato se avessi 'venduto' i miei amici facendo la spia. Così ho deciso che sarei partita per Roma dove ho potuto studiare Farmacia. Una volta arrivata nella Capitale, non mi riconoscevo più, mi sentivo estranea a me stessa. Era come se fossi uscita da uno stato perenne di malattia. Potevo assaporare la libertà di essere me stessa, di esprimermi senza essere giudicata, di integrarmi e venire accettata. Di vivere nella verità e non nelle manipolazioni. Potevo godere della gioia di essere in armonia e di non dovermi difendere dalle discriminazioni quotidiane ». Violette conserva ancora vivo il ricordo di quando la madre radunava lei e i suoi fratellini davanti all’icona della Madonna per chiederle che fermasse le guerre 'le tante a cui ho assistito', precisa. E nei 47 anni che è stata dietro un bancone della farmacia di Nazaret dove lavorava, lo ricorda oggi, ha incontrato migliaia di persone con un bisogno comune: 'Cercare la pace e la giustizia'. Anche avere coscienza della propria appartenenza però è importante in un Paese «dove i cristiani sono l’1,6% della popolazione - avverte -. Il mio cognome 'Khouty' significa 'prete' perché quando una famiglia, come la mia, aveva un sacerdote in famiglia diventava 'la famiglia del prete': queste sono le nostre radici che affondano nella terra in profondità e che oggi i giovani stanno riscoprendo». Membro del Movimento ecumenico per la giustizia e la riconciliazione tra i popoli 'Sabeel', Violette ha fondato quando è andata in pensione qualche anno fa, l’associazione 'Nasijona- Nazareth', che in lingua araba significa 'il nostro tessuto'. Più di cento donne cristiane e musulmane si trovano per svolgere lavori artigianali come la lavorazione del pizzo, una tradizione che stava andando perduta «sperimentando come è bello lavorare in una comunità sana - spiega Violette -. Far passare le abilità e le tradizioni alle nuove generazioni perché possano conservarle e proseguirle è un modo per restituire l’identità perduta. Davanti alla sfida della repressione dell’identità palestinese, il pericolo è quello di diventare diverse entità appartenendo a religioni diverse e di perdere così la memoria, il senso della nostra storia, delle lingue e della tradizione che costituisce e rinforza il legame sociale. La tradizione è un fattore comune, tocca il cuore di ognuno per ricordarci che siamo tutti fratelli».

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