giovedì 16 aprile 2015
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Un magma di teorie che saldano femminismo radicale e lobby gayIl radicalismo femminista e l’attivismo gay americano sono alla base di alcune delle teorie che oggi, per comodità, definiamo gender. La «madrina» di questa neoantropologia senza umanesimo e senza etica è Judith Butler che, nel 1990, condensa il peggio dell’ideologia del genere in un libro – «Questioni di genere. Il femminismo e la sovversione dell’identità» – destinato a diventare il testo di riferimento di tutti i seguaci. Per l’autrice americana il nodo di tutti i mali della storia è l’eterosessualità, con quelli che lei definisce gli stereotipi per eccellenza, il maschile e il femminile. «Falsità» – sostiene lei – colpevoli di discriminare tutti gli altri generi. Quelli che, nelle farneticazioni di Butler, non entrano nella forzata relazione maschio-femmina. Perché, prosegue il ragionamento, da questa discriminazione discendono tutti gli altri poteri negativi, dalla religione alla famiglia, dalla politica alla cultura. Incluso quel potere che da sempre tiene imprigionata la donna, cioè la «costrizione riproduttiva». Come fare per risolvere tutto e aiutare il mondo a vivere meglio? Semplice, cancellare il maschile e il femminile, aprire la strada a tutti i possibili «generi» alternativi. Non conta la natura, la biologia, il dato di realtà. Ciò che conta è quello che ciascuno si sente di essere in quel momento, secondo un codice tanto fluttuante quanto paradossale. Sembrano tesi culturalmente inconsistenti. Ma oggi stiamo vedendo quanti germi malefici stanno diffondendo.Lgbtq... e cos'altro ancora? Il tiste paradosso dei 56 "generi"La strada aperta dalla "vulgata" del gender scritta da Judith Butler (vedi box qui a sinistra) ha avuto il merito – si fa per dire – di scatenare fantasie malsane. In particolare quell’allungamento all’infinito dei «generi» che, non essendo più obbligati a seguire l’opprimente logica della fisiologia, può scatenarsi in un elenco infinito di variazioni. Maschile e femminile? Tutto superato. Ma anche il «tradizionale» acronimo Lgbt (lesbiche, gay, bisessuali, transessuali) non basta più. Qualche anno fa è spuntata una "q" che sta per "queer", ad indicare un orientamento sessuale che si ritiene libero di variare direzione a suo piacimento e ci tiene a ribadire la sua "indefinibilità". E quindi siamo arrivati alla nuova dizione Lgbtq. Basta così? Niente affatto. Pian piano sono spuntante una "I" (intersessuali, cioè a metà strada) e poi una "A" (asessuali, quelli che proprio non ne vogliono sapere). E quindi l’acronimo è diventato Lgbtqia. Ora, gli specialisti del settore, suggeriscono un più esauriente Fabglitter (Feticisti, asessuali, bisessuali, gay, lesbiche, intersessuali, rivoluzione del genere, transessuali). Evidente che di questo passo l’acronimo si può allungare all’infinito. E ognuno può portare il suo folle contributo al disordine. L’illuminato governo australiano è già arrivato a comprendere 23 generi. Meglio ancora ha fatto, com’è noto, Facebook Usa che permette una scelta tra 56 diverse opzioni. Una tragicommedia. Ma non basterà ancora. La pretesa di dettare legge su educazione, società, politicaNell’arcipelago gender c’è ormai di tutto. Ma, giusto per fare un po’ di ordine, possiamo dividere questo strano, complesso e pericoloso mondo in due versanti. Quello politico, dove le teorie del gender funzionano ormai come ideologia politica, e quello dell’elaborazione teorica. L’ambito politico si nutre di azioni rivendicative, di infiltrazioni sociali, mediatiche e amministrative. L’elaborazione teorica – sostenuto dai seguaci di Judith Butler – propone discorsi sulla sessualità, nuove esperienze, riflessioni dotte sulla necessità di abbattere la dittatura del maschile e del femminile. Secondo il professor Mario Binasco, docente all’Istituto Giovanni Paolo II, che abbiamo intervistato sul numero di febbraio della nostra rivista familiare "Noi genitori & figli", la diffusione delle teorie del gender rispondono «ad una precisa idea di consumo mascherato da progetto ideologico». Dietro l’espansione di queste idee confuse ci sarebbe insomma un preciso disegno pilotato da alcuni poteri forti, in particolare pubblicità e marketing. Nessuno spontaneismo, ma una strategia oculata. Ecco perché il gender è riuscito ad incidere così profondamente sulle scelte politiche (proposta di legge Scalfarotto); sull’educazione (strategia nazionale); sugli atti amministrativi (via i termini di "madre" e di "padre"); sul modo di pensare (l’omofobia come strumento di repressione nei confronti di chi sostiene un’antropologia diversa).
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