giovedì 16 aprile 2015
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Un questionario destinato a rovesciare non pochi luoghi comuni sulle convinzioni e sulle richieste delle famiglie, a scombinare non poche certezze costruite in parte sul «sentito dire» e in parte sull’«abbiamo sempre fatto così». Invece le famiglie italiane sono cambiate, perché è profondamente cambiata la società. Ed è urgente prenderne atto. Così, gli esperti Cei che nelle ultime settimane hanno avuto l’opportunità di leggere migliaia e migliaia di risposte al questionario diffuso dalla Segreteria generale del Sinodo in vista dell’assemblea ordinaria del prossimo ottobre, si sono trovate di fronte non solo a riflessioni autentiche, palpitanti di vita, di difficoltà e di sofferenza, ma anche a spunti che sembrano auspicare un nuovo modello di comunità. In cui la famiglia, come auspicato dal dibattito sinodale, diventi davvero soggetto di pastorale. Si tratterà ora di cogliere il meglio da queste espressioni di massiccia democrazia partecipativa che non ha evidentemente i connotati di un lavoro statistico scientifico, ma che odora di Chiesa semplice ma autentica. Ecco i temi sottolineati con maggior insistenza nelle risposte, secondo la sintesi che ci anticipa don Paolo Gentili, direttore dell’Ufficio Cei per la pastorale familiare. La fatica della coerenza  La famiglia perfetta, quella che non ha mai incertezze, né lacerazioni, né dubbi sembra definitivamente consegnata all’agiografia del tempo che fu. Anche i nuclei familiari impegnati nelle comunità cristiane non nascondono più le difficoltà di coniugare verità e misericordia, anche nei confronti di se stessi. Accogliere le fragilità vuol dire innanzi tutto ammettere ed accettare le proprie, a partire dalla coerenza coniugale messa alla prova da quella cultura del relativismo che impregna tutta la società. Famiglie solidali Anche questa è una sottolineatura che si ritrova in migliaia di risposte. La famiglia deve tornare al centro di una rete di rapporti che, sia nella pastorale, sia negli altri ambiti sociali, possa contribuire a migliorare la vita di tutti. Tante risposte, per limitarci al ruolo della pastorale, citano l’impegno di famiglie tutor in grado di accompagnare in modo competente e responsabile sia i cammini di catechesi dei ragazzi, sia i fidanzati, sia le giovani coppie. La paura del 'per sempre' nasce in realtà da una sensazione di solitudine che fa apparire il traguardo di un amore senza tempo – al di là del tempo – quasi irraggiungibile. Invece, il sentirsi parte di una rete solidale, contribuisce a distribuire il peso delle responsabilità e aiuta tutti a vivere meglio. Numerose risposte citano il forte dato simbolico rappresentato dalla celebrazione degli anniversari di matrimonio, come testimonianza di una fedeltà che resiste all’usura del tempo. Divorziati risposati  Tantissime le proposte avanzate per coniugare indicazioni dottrinali e accoglienza autentica: dall’esempio ortodosso rivisto e attualizzato alla necessità di rendere più semplici le procedure di riconoscimento della nullità. Nelle numerose comunità in cui sono stati attivati percorsi di accompagnamento ai separati e ai divorziati, il problema viene avvertito in modo meno dirompente, come se l’accoglienza fosse un dato ormai acquisito. Una specificità pastorale italiana determinata dall’attenzione ormai assodata sia a livello di riflessione teorica, sia di prassi pastorale ordinaria. Contraccezione  La regolazione delle nascite, forse anche alla luce della drammatica denalità italiana, non appare dalle risposte pervenute un tema che divide. Non è arrivata neppure quella 'bocciatura' dell’Humanae  vitae che qualche media aveva inopportunamente pronosticato. Anzi, in tante risposte viene sottolineata la portata profetica dell’enciclica, che troppo spesso è stata ridotta a una sintesi di divieti e di proibizioni. E si suggerisce di ripartire proprio da qui per rilanciare la bellezza dell’apertura alla vita che vuol dire volontà di amare in modo non moralistico e non sessuofobo. In troppe occasioni, si ribadisce, la gioia dell’amore che caratterizza l’approccio cristiano – e quindi anche l’Humanae vitae – è stato presentato in modo riduttivo.  Persone omosessuali Il problema di quale accoglienza pastorale riservare alle persone omosessuali non stato eluso, ma nella maggior parte dei casi solo per ammettere la diffusa impreparazione delle nostre comunità. Alla luce di un percorso tutto da costruire, più che regole da stabilire, viene sottolineato la necessità di un atteggiamento nuovo per accompagnare queste persone. Meglio uno sguardo differenziato caso per caso capace di accogliere in spirito di autentica fraternità e di sincera comprensione chi si sente escluso, piuttosto che – si sottolinea – un 'prontuario' con regole predefinite. Il tempo dello 'sguardo giudicante' sembra proprio appartenere ad un’altra epoca. 
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