venerdì 26 febbraio 2021
Fa discutere la sentenza che attribuisce solo alla ex-moglie la facoltà di stabilire se impiantarlo o meno, anche se l'ex è contrario. Ma il punto vero è un altro: il diritto del figlio alla vita
Embrione allo stato di morula

Embrione allo stato di morula - Ansa / Epa

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Sono sposati e decidono di ricorrere alla Procreazione medicalmente assistita (Pma) per poter avere un figlio. Un percorso complesso e che vede fallire un primo tentativo di impianto. Altri embrioni vengono però congelati, in attesa di un nuovo tentativo. Nel frattempo, però, lui decide di porre fine al matrimonio, ma lei non vuole rinunciare a quelle "vite in provetta" e al sogno di diventare madre. Così si rivolge ad un tribunale. Che le dà ragione: può impiantare gli embrioni, nonostante la separazione e la contrarietà dell'ex marito.

Se esistono embrioni congelati, prodotti da una coppia, questi possono essere impiantati tempo dopo nell’utero della donna con il solo consenso di questa. E anche contro la volontà dell’uomo di cui portano il corredo genetico.

È quanto deciso dal tribunale di Santa Maria Capua Vetere (Caserta) nell’ordinanza del 27 gennaio 2021, resa nota ieri. Per giungere a questa conclusione, che riguarda una coppia ormai separata, i giudici hanno chiamato in causa l’articolo 6, comma 3, della legge 40 del 2004, per cui “la volontà [di diventare genitori attraverso la procreazione medicalmente assistita, ndr] può essere revocata da ciascuno dei soggetti [...] fino al momento della fecondazione dell’ovulo”. Dopo non più.

Il problema, sotto il profilo oggettivo, ha iniziato a esistere con la sentenza 151/2009 della Corte Costituzionale, che – modificando la legge 40 – ha iniziato a permettere il congelamento degli embrioni. Fino a quel momento, infatti, la norma prevedeva che si potessero fecondare fino a un massimo di tre ovociti, i quali avrebbero dovuto essere simultaneamente impiantati nell’utero della donna. Era infatti questo il principio vigente prima della decisione della Consulta: una volta ottenuto, ogni embrione avrebbe dovuto essere messo nelle condizioni di nascere.

Nel frattempo, per l’avvocato che ha rappresentato la donna nel giudizio di Santa Maria Capua Vetere – Gianni Baldini, membro di giunta dell’Associazione radicale Luca Coscioni – questa pronuncia riconosce “il diritto assoluto della donna di utilizzare gli embrioni creati con il coniuge e poi congelati anche dopo la pronuncia della separazione e nonostante la contrarietà dell’ex marito”.

Un’ordinanza, osserva, che “è la prima in Italia di questo genere”, e che appare “destinata a fare molto discutere”.

Non è però d’accordo con questa visione Alberto Gambino, giurista alla presidenza di Scienza & Vita, per cui “prima del diritto della coppia ad avere un figlio – scandisce – esiste il diritto del figlio a vivere nella pienezza la sua esistenza”. Sulla scorta di ciò, aggiunge il pro-rettore dell’Università europea di Roma, “non è corretto chiedersi se prevalga il diritto della donna di accogliere l’embrione contro il parere del coniuge, ma di verificare quale sia il miglior interesse del figlio, che certamente quando è in uno stadio embrionale non può che aspirare a proseguire il suo sviluppo biologico fino a realizzare, con la nascita, la piena partecipazione alla società umana”.

Poco più di 20 anni fa, con una pronuncia del 9 maggio 2000, il Tribunale di Bologna aveva deciso un caso simile a quello campano in modo diametralmente opposto. Alla base del ragionamento seguito dai giudizi emiliani c’erano due (discutibili) presupposti: il fatto che “gli ovuli umani fecondati ma non impiantati” sarebbero [...] entità ben diversa dagli embrioni già allocati nell’utero materno”, e quello per cui essi non godrebbero in ogni caso “della stessa tutela legale [...] della persona nata viva”. Così, sulla scorta di ciò, “considerato [...] che il diritto di procreare o di non procreare è costituzionalmente garantito, specie qualora non vi sia in atto una gravidanza, sarebbe in netto contrasto con il diritto di non procreare riconosciuto anche al genitore di sesso maschile la concessione alla sola donna di decidere se procedere nell’impianto in utero degli embrioni”.

Una cosa è certa: qualora gli armonici principi della legge 40 non fossero stati ora tirati a fisarmonica, ora squarciati, dalle diverse sentenze che ne hanno modificato la portata, problemi come quello di oggi mai si sarebbero posti.

Così la donna​ spiega la sua scelta

(Redazione Internet) Ma quella di questa donna non è stata una decisione semplice da prendere. "La mia - racconta - è stata una battaglia anche per tante altre donne: credo in coscienza di aver fatto qualcosa di utile per tutte quelle donne nella mia situazione, e per i tanti concepiti in provetta congelati, a cui la legge fino ad oggi non consentiva alternative". Sicuramente, sottolinea, "non è stata una scelta a cuor leggero. Io ho più di 40 anni e per amore del mio ex marito, che aveva problemi di salute, ho deciso con lui di ricorrere alla Pma. Ci sono state delle complicanze e il primo tentativo non è andato bene. Poi lui ha voluto la fine del nostro matrimonio".

Intanto, però, degli embrioni erano stati crioconservati. "Ci ho pensato tanto, ma quegli embrioni creati in un contesto di amore - afferma - io non me la sono sentita di abbandonarli in una provetta, e ho deciso almeno di provare a metterli al mondo lo stesso, anche come donna single. Mi sono rivolta agli avvocati Baldini e Zema e grazie al loro aiuto anche il giudice ha capito che il mio progetto era serio". Il punto, conclude, "è che credo non sia giusto venire meno alle proprie responsabilità genitoriali, e per quello che mi riguarda sono contenta che il giudice abbia riconosciuto a me ed a nostro figlio, per ora solo concepito, il diritto almeno di provarci".

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