venerdì 26 aprile 2019
Il presidente nazionale di Ac: «Noi, eredi dell'europeismo cristiano, abbiamo il compito di ritrovare, rilanciare, ridire le ragioni del nostro stare insieme»
Matteo Trufelli, presidente nazionale dell’Azione Cattolica (Siciliani)

Matteo Trufelli, presidente nazionale dell’Azione Cattolica (Siciliani)

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Il progetto europeista sembra aver perso attrattiva. I palazzi di Bruxelles, dove pure si decide l’80 per cento delle leggi poi declinate a livello nazionale, sembrano a prima vista molto lontani. Eppure il progetto europeista ha mobilitato le migliori intelligenze politiche del secolo scorso, e resta al centro della riflessione del mondo cattolico. Un progetto da aggiornare e rilanciare per cui l'associazionismo cattolico è sceso in campo con il manifesto «L'Europa che vogliamo» promosso da Retinopera di cui l’Azione cattolica è parte.

Matteo Truffelli, presidente nazionale dell’Azione Cattolica, nel manifesto «L’Europa che vogliamo» si chiede un’«Europa democratica e partecipativa”. Quali, a suo giudizio, i motivi dell’attuale disaffezione?

Probabilmente il fatto che i cittadini fatichino a sentirsi rappresentati da queste istituzioni perché non hanno un rapporto diretto, vicino con esse. E anche perché le istituzioni sembrano, in qualche modo, dominate più da logiche tecniche e amministrative che non da una dinamica di effettiva rappresentanza. Dall’altro lato, sicuramente, c’è anche una non conoscenza delle istituzioni da parte dei cittadini che non sapendo come funzionano, poi sono facilmente preda di semplificazioni o «leggende metropolitane», relative alla distanza di Strasburgo e Bruxelles alla nostra realtà.

Nel manifesto di Retinopera si auspica «una conduzione più democratica delle istituzioni europee». Un difetto da attribuire più a istituzioni farraginose o a una assenza di partecipazione realmente continentale? Ci sono grandi famiglie politiche europee, ma questo non sembra coincidere un dibattito partecipato. Non crede?

Esatto. La partecipazione è fatta sì nel momento elettorale, ma anche di dibattito pubblico, di coinvolgimento dei cittadini nei processi decisionali, di spiegazione delle decisioni prese per la concreta vita quotidiana dei cittadini. Manca questa «permeabilità» tra istituzioni, opinione pubblica e anche l’insieme del sistema dell’informazione che non è capace di raccontarci le istituzioni europee e di farci sentire coinvolti nei processi decisionali dell'Unione Europea.

Il documento di Retinopera al primo punto auspica pure una «cittadinanza europea» da esercitare responsabilmente. Ma siamo davvero dei cittadini europei o al momento, come sostiene qualcuno, degli abitanti europei non ancora consci dei propri diritti? E come rendere viva e attuale questa cittadinanza europea?

Credo che siamo cittadini europei molto più di quanto pensiamo e di quanto ci rendiamo conto. Sia dal punto di vista più sostanziale, perché gran parte delle decisioni che contribuiscono a regolare la nostra vita vengono dalle istituzioni europee, ma anche perché in modo molto più semplice e immediato c'è un stile con cui viviamo che è da cittadini europei. Ad esempio l'abitudine a recarci a Parigi per una partita di calcio o un concerto, o l'abitudine ad informarci per di questioni che coinvolgono tutto il continente in quanto tale, o la consapevolezza, che andrebbe coltivata ancora di più, che le grandi sfide dentro cui siamo immersi - la globalizzazione, la custodia del creato, la gestione dei flussi migratori - le possiamo affrontare in maniera efficace solo se uniti e non certo ognun per sé, in ordine sparso.

Qual è lo specifico dell’associazionismo cattolico in questo progetto europeo. Il contributo dei cattolici è stato storicamente determinante: come si incarna ora questa tradizione?

Quello del passato fu un contributo, generato nel grembo della cultura politica cattolica, che guardando alla tragedia da cui si usciva, alle macerie su cui si posava lo sguardo fu capace di portare speranza, gettando in qualche modo il cuore l’oltre l’ostacolo, riuscendo, in condizioni veramente difficili, a fare una scommessa sul futuro. Credo che noi, come eredi di quel modo di pensare la politica, di quello spirito, abbiamo il compito di ritrovare, rilanciare, ridire le ragioni del nostro stare insieme. Sono, certo, dimensioni di promozione del nostro benessere economico, ma non solo: sono ragioni di giustizia, ragioni di costruzione di una cultura di pace, ragioni di esemplarità per il resto del mondo nella capacità di trasformare i conflitti in promessa di futuro reciproco.


Nel documento di Retinopera si citano espressamente i «corpi intermedi» e il «ruolo della famiglia». Come giocare queste dimensioni su scala europea?

Si deve partire dalla consapevolezza che la prospettiva disgregatrice che sta investendo anche l’Unione Europea ha la sua radice fondamentale in quella che Papa Francesco chiama la prospettiva individualista, cioè di un individuo che vive per se stesso in maniera egoistica. Ora, tanto la famiglia che i corpi intermedi, in particolare lo stesso associazionismo e quello ecclesiale ancora di più, sono tutte esperienze che ci insegnano a camminare insieme con tutte le difficoltà, ma anche le ricchezze che comporta il sapersi non isole, sapersi chiamati non a vivere ciascuno per sé, ma a vivere in questo mondo insieme.

Infine, professor Truffelli, ci indichi un buon motivo per andare a votare il 26 maggio.

Perché l’Europa, lo abbiamo detto, è decisiva per il nostro futuro e se lo sarà senza il nostro voto lo sarà a prescindere da noi. Se, invece, lo sarà anche con il nostro voto, sarà un’Europa che potrà elaborare il futuro anche grazie al nostro contributo.

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