sabato 25 maggio 2019
I gruppi europeisti guardano già al futuro e vogliono avere un peso politico molto maggiore, anche sul fronte della scelta del successore di Jean-Claude Juncker e quindi sulla Commissione
La scommessa degli europeisti: un programma per un «governo» Ue
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La vittoria (per ora negli exit poll) in Olanda di Frans Timmermans, il capolista dei Laburisti e dei Socialisti Europei e candidato alla presidenza della Commissione Europea, certamente galvanizza il Parlamento Europeo. E il voto di oggi potrebbe rafforzare questa sensazione. I gruppi europeisti vogliono avere un peso politico molto maggiore, soprattutto sul fronte della scelta del successore di Jean-Claude Juncker. E soprattutto, molti puntano a trovare il modo di vincolare la futura Commissione, quasi un «governo Ue», a un programma da stilare insieme alla maggioranza che la sosterrà. Una maggioranza che, stando alle proiezioni del Financial Times, sarebbe molto ampia: 473 seggi su 751, se si sommano Popolari, Socialisti, Verdi, Liberali-macroniani. Perché una cosa, sembrerebbe confermata nel tempo da numerosi sondaggi: popolari e socialisti non avranno più la loro comoda maggioranza.

Tra i più accesi fautori di questa idea è Guy Verhofstadt, l’ex premier belga oggi leader dei Liberali, che dopo il voto si unirà alla République en Marche di Emmanuel Macron. «La cosa più importante – ha detto al

Financial Times

– sarà un programma, non le cariche. Dobbiamo concordare gli obiettivi e il programma di questa Commissione». Tradotto: per avere i voti, il successore di Juncker dovrà negoziare con la maggioranza a suo sostegno un programma preciso sulle cose da fare, e cui attenersi. «La Commissione – dice anche il co-presidente dei Verdi Europei (pure lui belga), Philippe Lamberts – dovrà rispettare il quadro dell’accordo se vorrà conservare la maggioranza del Parlamento Europeo». Anche una garanzia di tener fuori le destre euroscettiche: con l’obbligo ad attenersi al programma la Commissione non avrebbe modo di recepire eventuali istanze di quei gruppi.

Riflessioni che sono il segno di una crescente consapevolezza di sé dell’Europarlamento, i cui poteri sono stati molto accresciuti dal Trattato di Lisbona, attualmente in vigore, ma tuttora percepito come a «rimorchio» di Commissione e soprattutto dei governi. Per tanti (non solo fra i partiti tradizionali, ma per esempio anche per i Cinque Stelle), è un problema il fatto che il Parlamento Europeo, unico esempio in democrazia, sia privo di iniziativa legislativa, riservata dai trattati alla Commissione. Con un programma scritto, di fatto il Parlamento parteciperebbe di questa iniziativa senza dover cambiare i trattati.

Resta però tutto da vedere se davvero si riuscirà in questa impresa. Anche perché i grandi gruppi hanno molte divergenze. Ad esempio sul fronte della politica economica: più sociale e meno rigorista quella dei Socialisti europei (Timmermans chiedono anzi un salario minimo europeo) rispetto alla maggiore attenzione ai conti pubblici dei Popolari, o al mercatismo dei Liberali. Divisioni anche su questioni come il commercio estero, con i Verdi che insistono nel dare molto più peso alle questioni climatiche nei futuri accordi commerciali. Trovare un testo scritto comune potrebbe rivelarsi a dir poco arduo. Sullo sfondo rimane sempre la questione degli «Spitzenkandidaten», il concetto cioè (ispirato alla tradizione tedesca) che il capolista del primo partito diventi nuovo presidente della Commissione (fu così nel 2014 per Jean-Claude Juncker).

Popolari e Socialisti insistono, i Liberali sono però ora molto più tiepidi, i Verdi nicchiano, i sovranisti si oppongono. Una maggioranza per imporre insomma il capolista del primo partito come successore di Juncker non si vede. E questo è tutto a danno del capolista popolare Manfred Weber, che vede la sua strada sempre più in salita nonostante l’appoggio di Angela Merkel. Macron lo avversa, ritenendolo inadeguato e contesta il sistema degli Spitzenkandidate al pari dei premier di Olanda, Belgio, Lussemburgo. E contro ha ormai anche il premier ungherese Viktor Orbán, che pure lo aveva appoggiato, come anche il premier greco Alexis Tsipras. Trovare una maggioranza su un nome non sarà affatto facile. Ci vorrà tempo, molti scommettono che si arriverà all’autunno.

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