giovedì 24 giugno 2021
Alla vigilia del Consiglio Europeo (24-25 giugno) che riunirà i 27 a parlare di flussi migratori, Margaritis Schinas non nasconde l’ottimismo: alla fine ci sarà una convergenza sul Patto
Il vicepresidente della Commissione Ue Schinas

Il vicepresidente della Commissione Ue Schinas - Ansa

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Alla fine i Ventisette troveranno l’accordo sul Patto migratorio, perché è l’unica soluzione che davvero potrà permettere di affrontare i flussi. E ormai non si può più aspettare. Il vice presidente della Commissione Europea Margaritis Schinas, 58 anni, cristianodemocratico greco, responsabile per il Patto, lancia un chiaro messaggio alla vigilia del Consiglio Europeo, che ha sul tavolo proprio la questione migratoria, in questa intervista rilasciata ad Avvenire.

Vicepresidente, poche settimane fa lei ha detto di vedere movimenti sul Patto, eppure sui due fronti chiave, solidarietà e responsabilità, è tutto bloccato.
Anzitutto è un’ottima cosa che i leader discutano di nuovo al loro livello di migrazione, non succedeva dal giugno 2018. Secondo, io continuo ad essere relativamente ottimista su una convergenza anche perché finalmente stiamo uscendo dal periodo delle video conferenze da pandemia, inadeguate per un negoziato. E pochi giorni fa c’è stata già una tappa importante: l’intesa sulla nuova Agenzia Ue sull’asilo, bloccata da anni. Un elefante si mangia a piccoli bocconi. E poi c’è un’altra ragione pressante: il mondo intorno a noi.


Il commissario greco cristianodemocratico
rassicura l’Italia: ogni volta che premerà
il pulsante della solidarietà
avrà la risposta di cui avrà bisogno.
Intanto si partirà dai Paesi di origine e transito

Vale a dire?
Basta guardare che cosa è accaduto in Turchia lo scorso anno, in Marocco (all’enclave spagnola di Ceuta, ndr) poche settimane fa, la scorsa settimana alla frontiera tra Bielorussia e Lituania, o nel Mediterraneo centrale. Sono tutti segnali che dicono all’Europa: è tempo di muoversi.

Intanto però al Consiglio Europeo si parlerà solo di dimensione esterna, e cioè i rapporti con i Paesi di origine e transito per frenare i flussi a monte. Magari perché è l’unico punto su cui c’è un’intesa…
È positivo che ci sia intesa su questo aspetto. Il Patto migratorio è un edificio di tre piani. Il primo è la dimensione esterna, il secondo è la gestione delle frontiere, il terzo è la solidarietà. Non potremo mai arrivare al terzo piano, se il primo non è sufficientemente robusto. Se riusciamo a risolvere la dimensione esterna avremo molti più argomenti per perorare la causa della solidarietà. Nel 2015 (con il piano provvisorio di ricollocamento di 120.000 richiedenti asilo da Italia e Grecia, ndr) facemmo un errore: partimmo dal terzo piano senza avere gli altri due.

Andiamo verso una «Fortezza Europa»?
No. L’Europa resterà sempre una destinazione per l’asilo per quanti fuggono da dittature, guerre, persecuzioni. Allo stesso tempo però l’Ue proteggerà le sue frontiere esterne, chi non ha ragioni legittime per essere da noi, sarà rimpatriato. È quel che fanno anche gli altri.

L’Italia contesta al Patto di essere squilibrato: troppi oneri per i Paesi di prima linea e invece solidarietà «à la carte» per gli altri…
Non è così. Il nostro Patto offre ai Paesi di primo ingresso come l’Italia la garanzia che ogni volta che premeranno il pulsante della solidarietà avranno la risposta di cui avranno bisogno. Nel caso dell’Italia questo include anche il fronte della ricerca e del salvataggio. Allo stesso tempo offriamo anche la possibilità agli altri Stati membri di soddisfare diversi tipi di offerta. Se non basterà, la Commissione mantiene il diritto di imporre la parta mancante. Dunque non c’è via di uscita alla clausola di solidarietà.

Crede davvero che Stati come Polonia o Ungheria accetteranno questa imposizione?
Stiamo a vedere. Io difendo la nostra proposta, che è stata discussa a fondo, consultando tutti, e che intellettualmente, legalmente e politicamente fa pienamente senso. E finora non abbiamo sentito nessuna proposta alternativa che risolva il problema.

Ritiene possibile che intanto, come vorrebbe l’Italia, sia possibile un nuovo meccanismo provvisorio di ridistribuzione dei migranti con chi ci sta, una «Valletta II»?
Il meccanismo cui lei allude ha retto poco, gli Stati partecipanti prima hanno detto di sì, poi uno dopo l’altro si sono sfilati. Se però ci sono margini per trovare soluzioni ad hoc per continuare a mostrare solidarietà all’Italia e a Malta, la Commissione è pronta ad aiutare. Tuttavia nessuna soluzione ad hoc sarà paragonabile a una soluzione sistemica come quella del Patto.

Parliamo di pandemia. Il primo luglio entra in vigore il certificato digitale Covid in tutta l’Ue. Eppure rimangono problemi di coordinamento, ad esempio la cancelliera Merkel ha attaccato il Portogallo che ha fatto entrare turisti inglesi senza quarantena.
Il certificato digitale europeo è un enorme successo. Non ha precedenti per natura e velocità. Siamo riusciti ad armonizzare e mettere in legge le chiavi per la mobilità in tutta l’Ue. È però chiaro che l’utilizzo di questo strumento rimane nella competenza degli Stati nazionali, da Trattato Ue. Che però serva più coordinamento è chiaro a tutti, non a caso ne parlano i leader nel Consiglio Europeo.

Siamo alla fine della pandemia?
Stiamo arrivando alla fine della pandemia come la conosciamo. Ne usciamo molto più protetti, con vari vaccini disponibili e molte più conoscenze. Tuttavia non è il momento di rilassarsi, soprattutto per le varianti. Non sappiamo dove saremo a settembre. Ma gli europei possono stare tranquilli su un punto: abbiamo già comprato un numero sufficiente di dosi di richiami.

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