mercoledì 21 maggio 2025
Anna Masiello ha fondato R-Coat, progetto di moda circolare che trasforma ombrelli rotti in capi d’abbigliamento unici e artigianali. Un piccolo esempio di una nuova maniera di intendere i consumi
Un ombrello è per sempre: «Così siamo laboratori di rigenerazione»
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Un groviglio intricato di tela e metallo, spesso bagnato, diventato improvvisamente d'impiccio. È difficile immaginare un’utilità per un ombrello rotto o una destinazione diversa dal primo cestino che si incontra lungo la strada. Anna Masiello ce l’ha fatta e ha fondato R-Coat: un progetto di moda circolare che trasforma ombrelli rotti in capi d’abbigliamento, unici e artigianali. «Essendo di Trieste, dove soffia la bora, di ombrelli rotti ne ho visti a decine in giro per la città. Però ho deciso di trasformarli solo mentre ero in Portogallo, dove mi sono appassionata all’upcycling» spiega Anna.

L’upcycling o “riutilizzo creativo” è il processo attraverso cui materiali di scarto vengono ripensati e trasformati in oggetti nuovi e di maggior qualità. L’idea è nata nel 2018 tra le vie di Lisbona proprio dopo un temporale: « In tutti quegli ombrelli abbandonati per strada ho visto un potenziale. Ho deciso di imparare a cucire da autodidatta e ho creato il primo R-Coat, trasformando un rifiuto in qualcosa di bello e utile». In questi anni di attività sono stati salvati dalla discarica più di 2.800 ombrelli. La produzione è a cavallo tra Italia e Portogallo in collaborazione con artigiani locali. «Produciamo piccole quantità per evitare sprechi, anche il design non è legato alle mode del momento ed è pensato per durare nel tempo» aggiunge Anna.

La trasformazione si regge sull’artigianato: «Senza la sensibilità delle mani che li cuciono non potremmo realizzare i nostri capi, anche perché ogni ombrello è diverso: per colore, consistenza, stato. È lui a suggerirci cosa può diventare in un dialogo tra materia e creatività che rende ogni pezzo irripetibile». Il tessuto impermeabile degli ombrelli si trasforma in k-way, cappellini, pochette ed elastici per capelli decorati. «Teniamo molto alla trasparenza: ogni consumatore dovrebbe sapere chi ha fatto il suo vestito, da dove viene e che impatto ha avuto garantendo che il processo produttivo sia sostenibile quanto la nostra visione» afferma la fondatrice. R-Coat propone una visione alternativa del fare impresa: un laboratorio di rigenerazione dove ogni pezzo racconta una storia di riscatto di oggetti, persone, del lavoro manuale e delle economie locali. Fa parte di Sfashion-net, una rete di imprese che credono in una moda solidale e connessa al territorio.

«L’impatto si costruisce insieme. Condividere visioni, idee e soluzioni, ma anche difficoltà con chi ha obiettivi simili è fondamentale per affrontare le sfide che un progetto sostenibile comporta. Fa sentire meno soli e al contempo ci offre un’enorme fonte di ispirazione». Un esempio concreto di come si possa-no unire impatto, estetica e inclusione è la Sartoria Sociale di Gorizia, una startup di recupero tessile e sociale e hub di produzione di RCoat in Italia, nata sul territorio giuliano nel giugno 2021. La moda per Anna è una forma di educazione alla cittadinanza attiva perché «parla un linguaggio universale: tutti ci vestiamo ogni giorno». È attraverso i gesti quotidiani e che consideriamo scontati che passa il cambiamento delle abitudini e il ripensamento di uno stile di vita orientato al rispetto per l’ambiente.

Anna crede «nel potere della consapevolezza: organizziamo workshop, collaboriamo con scuole e parliamo sui social media di sostenibilità in modo accessibile e coinvolgente». Durante questi laboratori creativi ragazzi e adulti sperimentano in prima persona la trasformazione dei materiali. Si diffonde così la cultura dell’upcycling che si integra a quella del riciclo e porta con sé il valore aggiunto del processo della trasformazione del rifiuto in risorsa. «Quando presentiamo il progetto di R-Coat – aggiunge la giovane imprenditrice – all’inizio c’è spesso sorpresa che poi diventa curiosità e ammirazione. La mentalità sta cambiando: chi compra un nostro capo sente di fare una scelta diversa e di essere parte del cambiamento». La sfida più grande è riuscire a mantenere un prezzo accessibile senza compromettere la qualità e l’etica. La moda sostenibile richiede tempo, attenzione e spesso costi più alti. Però regala anche soddisfazioni inaspettate: «Una volta ho creato un cappellino da un tessuto rosa con delle fragole. Dopo averlo pubblicato su Instagram, la vecchia proprietaria dell’ombrello lo ha riconosciuto e mi ha contattata» ricorda Anna. Questa circolarità è possibile grazie a una piccola rivoluzione sartoriale che testimonia un nuovo modo di intendere la moda.

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