martedì 4 maggio 2021
La tutela dell’ambiente, uno dei pilastri del Recovery Plan, deve fondarsi su misure di prevenzione dei dissesti idrogeologici e riqualificazione di scuole ed ospedali
Territorio in sicurezza per ripartire
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Se nel 2019 avessimo paragonato l’economia italiana a un aeroplano avremmo potuto affermare che il Paese stesse volando su una macchina con entrambi i motori in avaria. Il primo motore, quello della produttività, non gira da oltre due decenni e il secondo, quello dell’accumulazione di capitale, non genera una spinta sufficiente a tenere il velivolo in quota. La pandemia ha aggravato una situazione critica. Il governo Draghi deve dunque misurarsi con una sfida terribilmente complessa.

Il punto cruciale del problema è rappresentato dagli investimenti, per questo una parte decisiva della sfida si gioca attorno al Recovery Plan e alla spinta che ne deriverà per gli anni a venire verso a una composizione diversa della nostra spesa pubblica, più attenta alle ragioni dello sviluppo. Tra 2008 e 2018 gli investimenti fissi lordi della pubblica amministrazione sono sensibilmente diminuiti passando da circa 3 a circa 2 punti percentuali in rapporto al Pil, e l’ultimo governo non ha saputo imprimere la svolta che pure aveva annunciato.

La politica italiana ha continuato a evocare la crescita economica, limitandosi però a distribuire sussidi e rinunciando a utilizzare lo strumento di bilancio che avrebbe consentito di raggiungere lo scopo. La ricostruzione del ponte di Genova ha evidenziato che quando esiste la volontà politica è possibile superare gli ostacoli posti dalla burocrazia: le opere possono essere realizzate, in tempi rapidi e in assenza di fenomeni di corruzione.


L'articolo completo di Federico Carli sul numero 5 di L'economia civile del 5 maggio



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