mercoledì 8 settembre 2021
L’esperto Will Smith ( Westbeck Capital): verifichiamo ad esempio la qualità delle relazioni con le popolazioni locali, e la ' legittimità sociale' delle imprese
«L'impatto degli investimenti sostenibili? Va verificato sul campo»
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L’impatto della finanza sostenibile? Va verificato sul campo. «In tutta la mia carriera non ho mai visto i capitali pubblici e quelli privati muoversi insieme nella stessa direzione in questo modo», dice Will Smith, partner di Westbeck Capital Management, società londinese di consulenza finanziaria. E Smith, advisor del Banor SICAV North America Long Short Equity Found, di acqua ne ha vista passare sotto i ponti nel mondo della finanza, perché ha iniziato a farsi le ossa a fine anni ’70 come trader alla Borsa di Londra. Ma niente che assomigliasse al boom della finanza sostenibile di questi anni, che è poi la 'direzione' di cui parla Smith. Al trionfo dei criteri Esg. Alla 'corsa' a sostenere oggi l’economia sostenibile di domani, la transizione ecologica e in particolare quella energetica dalle fossili alle rinnovabili. Che deve però accelerare ancora, se è vero che il Segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, commentando l’ultimo allarmante rapporto di IPCC sulla crisi climatica, ha detto chiaro e tondo che quel rapporto «deve suonare come una campana a morto per carbone e combustibili fossili, prima che distruggano il nostro pianeta».

La COP26 di novembre sarà il banco di prova per vedere se i leader mondiali sapranno prendere le decisioni drastiche che ormai servono. Anche per la finanza. «Come investitore non mi attendo nuove idee – afferma Smith – , perché la direzione in cui la COP26 deve andare è chiara. Spero che Cina e India si uniscano a Europa e Stati Uniti, che stanno guidando l’azione nel senso della decarbonizzazione, come si vede dai loro piani di stimolo postpandemia che hanno messo appunto al centro gli obiettivi di decarbonizzazione. Mi aspetto invece che si moltiplichino in questo periodo gli annunci sui temi climatici, cosa che va comunque bene se 'fa andare in prima pa- gina' la questione della transizione. Soprattutto spero che il grande vincitore del summit sia la consapevolezza». Consapevolezza che molti investitori sembra abbiano già acquisito, perché sono loro a chiedere più sostenibilità in finanza. Anzi, a esigerla. «I gestori di fondi – sottolinea Smith – hanno compreso che le persone vogliono che i propri risparmi abbiano un impatto positivo. Compito dei gestori è far sì che ciò avvenga, garantendo allo stesso tempo rendimenti appropriati. Perché le persone che guardano alla finanza sostenibile chiedono di allineare gli investimenti ai propri valori, di ridurre i rischi e di ottenere buoni ritorni. E non vedo assolutamente nessuna ragione perché i fondi Esg non possano dare tutte queste risposte: non riesco a pensare ad esempio a un’area con un potenziale di crescita superiore a quello della transizione energetica nei prossimi 10-15 anni. Parliamoci chiaro: la decarbonizzazione costerà un’enormità, per passare dalle fossili all’energia pulita si stima siano necessari uno-due trilioni di dollari di investimenti l’anno. Ma è anche un’enorme opportunità d’investimento».

Al riguardo sono tanti gli esempi snocciolati da Smith di imprese e settori per i quali la transizione energetica, su scala mondiale e sempre più accelerata, rappresenta agli occhi degli investitori la migliore garanzia di futuri profitti: ad esempio i produttori di batterie per auto elettriche, che hanno già ordini per molti anni a venire dai più grandi costruttori di auto del mondo, perché i veicoli elettrici sono il futuro; stessa cosa per chi è nel business dei punti di ricarica veloci per le auto elettriche, dalla cui presenza capillare su strade e autostrade dipende il balzo in avanti definitivo della mobilità elettrica; si pensi, ancora, alle imprese coinvolte nella costruzione di turbine e parchi eolici, ambiti tra l’altro ad altissima intensità di capitale. C’è un problema, che col boom della finanza sostenibile si è ingigantito: il greenwashing. In base a cosa, cioè, chi investe può fidarsi del fatto che i suoi soldi vadano effettivamente dove si dichiara? Che l’impatto sia quello atteso? Specie in un mercato in cui si fa a gara nel cercare di comunicare che 'i titoli nel mio portafoglio d’investimento sono più Esg dei tuoi'? La risposta europea è stata quella della regolamentazione, con il Piano d’azione sulla finanza sostenibile. Ma forse non basta ancora, perché, si sa, fatta la legge trovato l’inganno.

«Effettivamente – commenta Smith – è un problema. Anche noi utilizziamo varie agenzie di rating Esg esterne, ma spesso le loro valutazioni sono incoerenti. Per cui utilizziamo anche protocolli e metriche nostri. Avendo sperimentato che l’analisi Esg ti permette non solo, per esempio, di stare lontano dalle imprese più inquinanti, ma di evitare una serie di rischi, dato che ti aiuta a selezionare le imprese meglio gestite. Cerchiamo inoltre il dialogo e il confronto con il management delle imprese in cui investiamo, che riteniamo faccia parte del mestiere di investitore responsabile, su questioni di sostenibilità rilevanti, come la qualità della governance. Soprattutto, per quello che è possibile specie in tempi di pandemia, andiamo a verificare sul campo come le imprese agiscono là dove hanno i loro impianti nel mondo. Verifichiamo ad esempio la qualità delle relazioni con le popolazioni locali, quella che viene detta la loro 'legittimità sociale' ad operare, fondamentale in particolare per le industrie estrattive. Niente può sostituire la verifica di persona, coi propri occhi».

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