lunedì 10 maggio 2021
Uno studio di Aiccon e Ubi Banca su 1267 realtà, molte dflele quali al Sud, misura l'impatto sul territorio in termini di occupazione e produzione
Dall'agricoltura al turismo, la produzione come fatto sociale
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Le imprese sociali hanno sempre più spesso un ruolo da protagoniste nel rispondere ai bisogni del territorio. Includere soggetti vulnerabili, erogare servizi e prendersi cura della comunità, produce un effetto positivo sia in termini di competitività che di coesione. Nell’ottica di misurare questo valore aggiunto si muove la ricerca condotta da Aiccon (Associazione italiana per la promozione della cultura della cooperazione e del non profit), con il sostegno e la collaborazione di Ubi banca del gruppo Intesa Sanpaolo e della sua divisione Ubi Comunità, rivolta al terzo settore e all’economia civile. L’idea di fondo è quella di misurare il contributo della "produzione come fatto sociale" e, in particolare, l’apporto della cooperazione di inserimento lavorativo di persone svantaggiate (cooperative sociali di tipo B) operante in quattro filiere strategiche: l’agricoltura, l’abitare, il turismo e la cultura.

La ricerca ha coinvolto 1.267 realtà con 14.196 dipendenti e una dislocazione territoriale prevalentemente al Sud, dove si trova il 52,6% delle cooperative prese in esame. Si tratta di realtà piccole e spesso piccolissime: il 70% ha infatti un numero di addetti inferiore a dieci. Negli ultimi dieci anni sono nate al Sud molte cooperative sociali di tipo B per la valorizzazione del patrimonio artistico e ambientale. Obiettivo far conoscere località turistiche poco note, offrire servizi di ospitalità accessibili all’insegna della sharing economy con la spinta alla personalizzazione dell’esperienza di viaggio e di fruizione culturale. Il tema dell’abitare invece ha intersecato la cooperazione sociale su due fronti: per quanto riguarda i giovani, con progetti di co-abitazione temporanea, e per quanto riguarda i soggetti svantaggiati tramite l’housing sociale.

Grande effervescenza nel mondo agricolo con l’emergere di una nuova imprenditorialità sociale all’insegna di produzioni sostenibili, favorita dalla crescente attenzione dei consumatori per la qualità del cibo e l’impatto delle produzioni.Quello che emerge è la costruzione di filiere produttive caratterizzate da una «doppia elica» di valore: da un lato l’inclusione di soggetti deboli, sia da un punto di vista occupazionale che di accessibilità ai servizi di welfare, e coesione sociale attraverso la rigenerazione di economie di luogo che riattivano la comunità, dall’altro le imprese sociale si configurano sempre più spesso come promotrici del ripristino e del rilancio di economie place based (turismo, cultura ma anche educazione) agendo all’interno di complessi sistemi di relazioni e mobilitando risorse dalle istituzioni e dalla comunità locale. E favorendo progetti di più ampio respiro per partecipare a bandi europei. In termini di dimensioni economiche dall’analisi emerge come il settore del turismo sociale sia quello che ha prodotto i migliori risultati sia rispetto alla redditività dell’organizzazione (+82% di utile in media) che dell’occupazione (+78% di dipendenti in media).Un ulteriore focus ha osservato la capacità di costruire partnership attraverso i "contratti di rete" costituiti in tali ambiti di attività, tratto caratteristico in particolar modo delle realtà attive nell’agricoltura sociale (il 50% dei contratti di rete si sviluppa in tale ambito).

Elemento comune dei contratti di rete analizzati è la condivisione dell’obiettivo perseguito in termini di costruzione di filiere e di ampliamento delle possibilità di inserimento lavorativo di soggetti svantaggiati attraverso la creazione di nuova occupazione derivante da nuovi mercati e opportunità commerciali. L’impresa sociale svolge in questo caso una funzione di hub della filiera soprattutto per quanto riguarda il settore dell’agricoltura dove il lavoro di collaborazione con le altre realtà del territorio è fondamentale per l’organizzazione dell’attività in termini di produzione, investimento e promozione. La ricerca si è concentrata infine su quattro casi studio attivi nelle filiere dell’accoglienza, del turismo e della rigenerazione urbana, dell’abitare sociale, inclusione, gestione dei beni culturali e servizi educativi, dell’agrifood, della ristorazione e del catering sociale, osservandone in particolare il grado di apertura verso l’esterno, l’intensità tecnologica, la coesione interna, il valore aggiunto sociale (missione), l’impatto nei mercati e la propensione all’investimento. «Lo studio realizzato rilancia il valore peculiare dell’innovazione sociale nella competitività dei territori e delle sue filiere produttive – spiega Paolo Venturi, direttore di Aiccon –. In altri termini, le cooperative sociali di inserimento lavorativo si propongono come soggetti trasformativi per la loro peculiare capacità di creare occupazione, contrastando la disoccupazione e le disuguaglianze economiche e sociali». Un ruolo che sarà ancora più fondamentale nei prossimi anni per contrastare l’aumento della povertà nelle fasce più fragili della popolazione innescato dalla pandemia.

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