mercoledì 20 gennaio 2021
Parla Kaushik Basu, presidente dell’International Economic Association tra gli ospiti al Festival Nazionale dell’Economia Civile
«Attenzione alle disuguaglianze post-Covid»
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«La crescita è parte della vita, ma per cosa cresciamo? Quali sono le componenti della crescita? In questa fase straordinaria, è un’occasione, dobbiamo ripensare proprio questo. Forse siamo in una congiuntura in cui dobbiamo decidere che la nostra crescita non deve solo fare da scudo all’aumento dei consumi, ma deve essere energia creativa ». Abbiamo incontrato via Skype Kaushik Basu, presidente dell’International Economic Association, per il dialogo intitolato «Globalizzazione, disuguaglianza e giustizia sociale. Oltre la mano invisibile», trasmesso ieri in streaming al Festival Nazionale dell’Economia Civile. Ne pubblichiamo una sintesi.

I policy makers di tutto il mondo stanno cercando di mantenere in vita le loro economie e, al contempo, di contenere la pandemia da Covid- 19. Una sfida che si può vincere? Diversamente da quanto accade in una recessione economica standard, quella provocata da una pandemia determina soprattutto grandi squilibri tra settori: non c’è domanda turistica, non c’è domanda per hotel o aerei. Allo stesso tempo, però, c’è una forte domanda per farmaci, strutture sanitarie, medici. Per questo motivo non si può gestire l’economia innalzando o riducendo la domanda indistintamente, come si fa solitamente, bisogna piuttosto bilanciare le cose. Più che singoli Paesi, quindi, ad uscirne vincitori o vinti saranno i settori della vita economica e sociale. Ci sarà un boom della tecnologia, del digitale e, cosa molto importante, della sanità.

Si creeranno nuove asimmetrie? La delocalizzazione delle tecnologie dell’informazione indubbiamente crescerà. Ad emergere, pertanto, saranno i Paesi che riusciranno a posizionarsi bene nel settore della sanità, dell’arte o dell’istruzione.


Il presidente dell’International Economic Association: «L’Europa diventerà leader perché sta cercando di imparare dagli errori. Ha capito che non si può condividere la moneta senza condivisione fiscale. E sta tracciando la strada per un’unica valuta globale»

Perché ritiene importante l’aumento della domanda e quindi dell’offerta in ambito medico-sanitario? Le aspettative di vita nei Paesi europei al momento potrebbero oscillare tra gli ottanta e i centocinquant’anni, se facessimo delle straordinarie scoperte nel mondo della salute e della sanità. Ma la distribuzione delle cure è spaventosamente diseguale. Certamente è pessima nei Paesi in via di sviluppo, ma lo è anche negli Stati Uniti. Io credo – anzi, spero è la parola giusta – che noi supereremo la crisi pandemica cambiando i driver della crescita. Non più beni di lusso da avere a tutti i costi: ciò che dobbiamo cercare di avere a tutti i costi è una sanità migliore, più costosa, perché comporta più ricerca, e al contempo una distribuzione migliore delle cure sanitarie tra le popolazioni di tutto il mondo.

Accennava anche alla cultura come elemento per una crescita sostenibile. Come terzo settore promettente ho in mente proprio alcuni consumi. Come la musica, l’arte, la scienza e la letteratura. Questi sono consumi creativi. In Italia dovreste intercettare quasto trend, perché sin dal Quattordicesimo secolo il Rinascimento di Firenze è fiorito oltre i confini dell’attuale Italia. In quegli anni, molti dei consumi dell’uomo erano consumi creativi. Io credo che alcuni di questi cambiamenti, che sono cambiamenti di speranza, si realizzeranno.

La pandemia comporterà la fine della globalizzazione, almeno per come l’abbiamo conosciuta di recente, e un ritorno del protezionismo? Assisteremo probabilmente a una reazione contro la globalizzazione a breve termine. Lo stiamo già vedendo: Stati Uniti e Cina costruiscono nuovi muri, barriere al commercio. Ma i Paesi che si ritirano dalla globalizzazione e che alzano dazi, in due-tre anni non potranno più competere. Saranno proprio fuori dai giochi, perché la produzione e anche parte del lavoro immateriale saranno sempre più delocalizzati.

Che valutazione dà della risposta europea delineata con in Next Generation EU, il piano di resilienza e crescita dell’Unione Europea? La costruzione dell’Unione Europea è stato l’esperimento più ardito nella storia dell’economia. Ad un prezzo, però: se non è un qualcosa di graduale, probabilmente si andrà incontro ad incidenti di percorso. E l’Europa ha avuto importanti incidenti di percorso, specialmente subito dopo il 2008. Ma i problemi di cui soffre la Ue sono i problemi del pioniere. E la Ue diventerà più forte proprio perché sta cercando di imparare dagli errori commessi. L’Europa ha capito ad esempio che non si può avere un’unione monetaria senza regole fiscali comuni. E sta addirittura tracciando la strada per un’unica valuta globale.

La crisi sanitaria, economica e sociale che stiamo affrontando aumenterà le disuguaglianze ? Ci si sofferma spesso sulle disuguaglianze di reddito o patrimonio, ma non le sembra che ad aumentare paurosamente sia soprattutto la disuguaglianza intergenerazionale? Noi apprendiamo la maggior parte delle corse nei primi anni di vita. E chi risulta svantaggiato in questi primi anni, lo sarà per sempre. Inoltre, se le persone più anziane hanno tutti i diritti del lavoro possibili mentre i più giovani ne sono lasciati senza, stiamo distruggendo futuro. La Germania sta sperimentando una soluzione interessante: ridurre le ore del lavoro a fisarmonica, con orari che aumentano e diminuiscono a seconda delle circostanze. Idea interessante che potrebbe essere portata avanti dall’Unione europea.


«Se sei analfabeta in una società tribale remota è uno svantaggio, ma non ne morirai. Se sei analfabeta in una società moderna che non offre sussidi pubblici non puoi sopravvivere. Per gli Stati è un obbligo morale prendersi cura dei deboli»

Non corriamo il rischio, seguendo il suo ragionamento sulla tecnologia come sicuro driver della crescita, che ad aumentare sia pure il divario digitale?
Questa è una nuova forma di disuguaglianza che sta emergendo con forza. Popolazioni connesse e alfabetizzate digitalmente versus popolazioni non connesse e analfabete digitalmente. Se sei analfabeta in una società tribale remota è uno svantaggio, ma non ne morirai. Se sei analfabeta in una società moderna che non offre sussidi pubblici, con lo Stato che si prende cura di te, non puoi sopravvivere. L’alfabetizzazione è essenziale per la sopravvivenza. Il diritto all’alfabetizzazione digitale è molto simile. I gruppi, gli individui che ne rimangono esclusi vedranno le proprie condizioni peggiorare in modo drammatico. E quelli digitalmente connessi avanzeranno. Ma nel lungo periodo così si provocano danni ingenti al commercio, perché nel commercio moderno i legami digitali sono strettissimi. Perciò questo farà pressione, una forma positiva di pressione, anche sui leader autocratici affinché garantiscano maggiore connettività e alfabetizzazione.

«Che scandalo sarebbe se tutta l’assistenza economica che stiamo osservando, la maggior parte con denaro pubblico, si concentrasse a riscattare industrie che non contribuiscono all’inclusione degli esclusi, alla promozione degli ultimi, al bene comune o alla cura del creato ». Sono parole di Papa Francesco.

Lei ha dedicato molta parte della sua ricerca scientifica per dimostrare come le qualità morali siano essenziali per la crescita e lo sviluppo all’interno dell’economia.
La compassione e la ragione devono essere legate una all’altra nel costruire le politiche economiche. La sola ragione non basta: sarebbe catturata dai grandi interessi. Ma con la sola compassione si commettono errori e si finisce per non aiutare proprio i più deboli.

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