martedì 8 febbraio 2022
Con progetti di recupero Sextantio ha creato in Abruzzo e a Matera strutture di ospitalità che sposano la storia del territorio. Ora il fondatore Daniele Kihlgren ci prova anche in Africa
Le capanne di Sextantio nel lago Kivu, al confine tra Congo e Ruanda

Le capanne di Sextantio nel lago Kivu, al confine tra Congo e Ruanda - Sextantio

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Ci sono due alberghi italiani nella lista delle aperture di hotel più attese di questo 2022 pubblicata qualche settimana fa dal Financial Time. Il primo è sulla celebre Piazzetta di Capri: lo storico Hotel La Palma, che era andato un po’ fuori moda, è pronto a ripartire sotto la nuova gestione dei tedeschi di Oetker Collection. Il secondo è sull’Isola Nkombo, nel grande lago Kivu, al confine tra il Ruanda e il Congo: si chiama Progetto Capanne ed è italiano nel nome, nella proprietà e nello spirito. È la nuova creatura di Sextantio, la società degli alberghi diffusi guidata da Daniele Kihlgren che rappresenta probabilmente la più interessante innovazione italiana nel settore dell’ospitalità dell’ultimo decennio.

Nipote del diplomatico svedese Elow Kihlgren, che portò in Italia i campioni dell’industria scandinava Ericsson ed Electrolux, cresciuto a Milano ma fuggito a Napoli per studiare filosofia in una città "estrema", il fondatore di Sextantio ha vissuto una gioventù avventurosa, fatta anche di droga e squallore, che ha raccontato nell’autobiografia I tormenti del giovane Kihlgren, pubblicata nel 2020 da Baldini e Castoldi.



«In Italia abbiamo borghi incantevoli che hanno subito progetti
urbanistici mostruosi. Molto spesso da noi il fascino
di un luogo è inversamente proporzionale all'urbanizzazione che ha
vissuto nel secolo scorso»


È anche per scappare dai suoi eccessi che non ancora 30enne si rifugia in Abruzzo, a Spoltore, per gestire un podere di famiglia, una decina di ettari di terreni. Doveva restarci qualche mese, ma ci ha trovato una nuova vita. Scopre Santo Stefano di Sessanio, un borgo medioevale arroccato nel parco del Gran Sasso, a 1.250 metri sul livello del mare. La povertà e l’emigrazione l’avevano spopolato, lasciandolo allo stato in cui poteva trovarsi ai primi decenni del secolo scorso. Kihlgren se ne innamora. Inizia a comprare le case del Paese e ristrutturarle con materiali locali, attraverso un complicato progetto di restauro conservativo ispirato alle foto scattate in Abruzzo negli anni ’20 dal linguista svizzero Paul Scheuermeier.​

Nasce così il primo Sextantio, l’albergo diffuso dove gli ospiti si immergono completamente nella realtà del territorio, trovando uno dei beni immateriali più scarsi dei nostri tempi: l’autenticità. «In Italia abbiamo borghi incantevoli che hanno subito progetti urbanistici mostruosi – dice Kihlgren –. Molto spesso da noi il fascino di un luogo è inversamente proporzionale all’urbanizzazione che ha vissuto nel secolo scorso. Il vero valore aggiunto dei nostri alberghi diffusi è la reciproca integrità tra il territorio e il suo patrimonio storico culturale. Non possiamo lasciare che il turismo rovini i luoghi che raggiunge».

'La torre', una delle stanze della struttura di Sextantio in Abruzzo, a Santo Stefano di Sessanio

"La torre", una delle stanze della struttura di Sextantio in Abruzzo, a Santo Stefano di Sessanio - Sextantio

Questo sorprendente albergo abruzzese si è rapidamente imposto come il campione del turismo diffuso italiano che negli ultimi anni ha conquistato i turisti di alto livello dell’Europa e del Nordamerica. Kihlgren ha replicato il modello a Matera, dove ha aperto un albergo diffuso nei Sassi, le grotte rupestri ancora abitate dai più poveri nel secondo dopoguerra. «Il valore dell’autenticità è molto sottovalutato – spiega l’imprenditore –. A Matera abbiamo messo le persone nei posti che erano i più miseri della città e oggi abbiamo un prezzo-camera anche maggiore di quello degli hotel nelle zone più turistiche. Anche a Santo Stefano abbiamo dimensioni economiche impensabili per un borgo abruzzese. Sono cose che fatica a capire chi continua a tirare giù le vecchie case per fare cubature di edifici moderni». Per i prossimi anni Sextantio sta lavorando sull’apertura di strutture di questo tipo in altri borghi spopolati dell’Abruzzo meridionale.

Nel frattempo c’è l’avventura in Africa, che inizia ufficialmente con l'apertura di Progetto Capanne, il prossimo 21 marzo, il primo giorno di primavera. Da ventenne Kihlgren aveva fatto volontariato nelle missioni dei padri barnabiti nel Ruanda che usciva dalla guerra civile. Ci è tornato anni dopo, attraversando l’Africa in motocicletta: «Ho incontrato tante persone. Mi sono accorto di quanto poco si faccia per contrastare il colera e la malaria, che continuano a uccidere decine di migliaia di persone all’anno». Con i primi guadagni di Sextantio l’imprenditore ha messo insieme una ONG che si occupa di fornire l’assicurazione sanitaria a migliaia di poveri del Ruanda, persone che non hanno i quattro dollari all’anno necessari a pagare la polizza che garantisce le cure contro malattie anche letali.

L'interno di una delle capanne, realizzate secondo tradizione seguendo il progetto nel Museo Etnografico di Butare

L'interno di una delle capanne, realizzate secondo tradizione seguendo il progetto nel Museo Etnografico di Butare - Sextantio

Il Progetto Capanne è figlio di questa esperienza, con il modello dell’albergo diffuso per la prima volta applicato in Africa. «Partiamo con due capanne, costruite secondo le tradizioni del territorio e seguendo il progetto del Museo Etnografico di Butare. Il letti sono come da tradizione ruandese: stuoie di paglie stratificate e materassi. C'è una piccola cucina, uno spazio conviviale» racconta l’imprenditore. L’obiettivo è sempre la massima integrazione tra l’albergo e il territorio. Quella dei turisti sarà una presenza discreta: bagni nel lago, gite nel lago con le canoe tradizionali, pesca notturna con i pescatori sulle piroghe, visite guidate nel villaggio.

C’è anche la possibilità, su richiesta, di fare attività turistiche più classiche: visitare la foresta di Nyungwe, famosa per le sue scimmie, andare vedere i gorilla sui monti Virunga, fare un safari nell’Akagera. Lo spirito di Progetto Capenne è l’opposto di quello dei tanti resort africani. «Se in Italia la questione è soprattutto storico-paesaggistica – dice Kihlgren – qui è prevalentemente culturale. Questi sono posti bellissimi dove il turismo standardizzato non è arrivato e dove i bianchi non si vedono spesso. La sfida è mantenere l’equilibrio socio-culturale del territorio. Il rischio maggiore di un’impresa turistica in Africa è quello di trasformare le popolazione in masse di questuanti o venditori di improbabili manufatti».

Tutti gli incassi di questo albergo diffuso andranno all’attività della ONG, per finanziare ancora più assicurazioni mediche per i ruandesi più poveri. Il prezzo, almeno all’inizio, è libero: agli ospiti Sextantio chiederà una donazione, una scelta in linea con lo spirito non profit di questa iniziativa. «Ho visto che si è iniziato a parlarne, soprattutto all’estero. Già in molti ci hanno contattato. In un mondo in cui l’aspetto identitario viene sempre più a mancare, in molti cercano l’esperienza autentica di un territorio diverso da quello abituale – conclude Kihlgren –. I nostri non sono alberghi di lusso, sono luoghi veri».

Daniele Kihlgren, a destra, nel cantiere di Progetto Capanne

Daniele Kihlgren, a destra, nel cantiere di Progetto Capanne - Sextantio

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