mercoledì 30 giugno 2021
Vincitore di diversi premi quali il Right livelihood award e il "Campioni della terra" conferitogli dal Programma dell’Onu per l’ambiente (Unep) ha impedito la desertificazione del territorio
La tenacia di Sawadogo, l’uomo che ha salvato i frutti della sua terra
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Dakar, Senegal. "L’uomo che ha fermato il deserto". È stato soprannominato così Yacouba Sawadogo, burkinabé di circa 80 anni, vincitore di diversi premi quali il Right livelihood award, assegnatogli nel 2018, e il "Campioni della terra" conferitogli dal Programma dell’Onu per l’ambiente (Unep). La sua lotta per un futuro migliore del pianeta dura ormai da oltre 40 anni. «Mi ricordo bene gli anni Ottanta», racconta con disarmante semplicità Sawadogo. «Avevamo delle terre buone e delle altre meno buone. Ma con il passare del tempo – continua l’anziano coltivatore del Burkina Faso –, ci siamo resi davvero conto della bassa qualità dei nostri terreni e della poca produzione dei nostri campi. La gente partiva mentre gli animali e gli alberi morivano».
Lui, invece, è restato. Originario del nord-est del Paese, Sawadogo ha vissuto attraverso la grande carestia che ha devastato la zona per dodici anni tra il 1972 e il 1984. «Tutti i terreni coltivabili stavano sparendo e non potevamo correre il rischio di rimanere nell’area senza fare niente – aggiunge Sawadogo –. Abbiamo quindi dovuto inventarci una nuova maniera per coltivare».
Il nuovo metodo di Sawadogo si ispira in verità a un metodo molto antico. Da secoli i coltivatori del Sahel e del basso Sahara formavano delle piccole buche nel terreno chiamate in mossi, una delle lingue locali del Burkina Faso, zai. L’obiettivo di tale tecnica era quello di sfruttare le stagioni piovose per trattenere in queste buche la maggior quantità possibile di acqua. «Gli zai di Sawadogo sono un po’ più larghi e profondi - spiegano gli esperti dell’Unep, ormai parte di una rete di organizzazioni internazionali che da anni stanno appoggiando l’anziano burkinabé -. In questa maniera viene raccolta più acqua e c’è spazio anche per aggiungere sostanze naturali e nutrienti per il suolo». Le buche vengono in seguito circondate da pietre non più grandi di un pugno e nel mezzo vengono piantati degli alberi. Tale pratica è definita "agro-ecologica". In quell’area circa 470mila ettari di terreni si degradavano ogni anno. «Sawadogo è riuscito a creare un’oasis di oltre 60 ettari di coltivazione – afferma un residente della provincia di Yatenga, vicino al confine con il Mali –. Ci sono oltre 60 specie di alberi e arbusti».
In quella che ora è una foresta a tutti gli effetti, durante gli anni Ottanta era completo deserto, non c’era un singolo albero che potesse fare ombra. Secondo stime delle Nazioni unite, grazie alla tecnica di Sawadogo i raccolti possono fornire tra il 100 e il 500 per cento della produzione. Pratiche come gli zai o simili tecniche in grado di conservare in maniera più efficace il terreno e l’acqua hanno migliorato la sicurezza alimentare, i livelli delle acque sotterranee, la copertura degli alberi e la biodiversità del Burkina Faso. Circa 3 milioni di persone hanno visto migliorare la loro vita e il bestiame è tornato a pascolare. Per promuovere la sostenibilità, Sawadogo organizza ogni due anni le "Giornate del mercato", con migliaia di partecipanti che si radunano nella sua fattoria presso il villaggio di Gourga. Tale iniziativa è stata sostenuta negli ultimi anni dallo scienziato olandese, Chris Reij del World resources institute (Wri) e da organizzazioni non governative come Oxfam.

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