mercoledì 11 maggio 2016
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Oggi le persone non autosufficienti in Italia sono meno di tre milioni, ma toccheranno i quattro milioni e mezzo nel 2040, quando gli over 65 conteranno per metà della popolazione. Bastano questi pochi dati ad esprimere l’urgenza di ripensare il modello di welfare, per evitare che fra pochi decenni la situazione diventi tale da mettere a serio rischio la stessa coesione sociale. Che ruolo può avere il welfare aziendale nel dare risposte che possano modificare scenari futuri di questo genere? Se n’è discusso ieri a Milano all’incontro organizzato alla Biblioteca Ambrosiana insieme al magazine Vita da Generali Italia, che di recente in collaborazione con Confindustria e Confagricoltura ha presentato il primo rapporto nazionale sul welfare aziendale nelle Pmi (Rapporto 2016 Welfare Index Pmi) interpellando oltre 2mila realtà, che nella seconda edizione saliranno a più di 3mila, imprese sociali comprese. Non è certo in discussione la sostituzione del welfare pubblico, che pure è in ritirata, perché «senza lo Stato sociale – ha sottolineato Andrea Mencattini, responsabile Relazioni istituzionali in Generali Country Italia – il welfare aziendale non può esistere. Si tratta di ampliare la platea dei beneficiari, allargando il rapporto tra aziende e territorio». Per far questo è indispensabile coinvolgere le Pmi, ossatura produttiva ma anche sociale del Paese. Mettendole in condizione almeno di potersi giocare la partita del welfare aziendale, dato che in molte grandi aziende questi programmi sono presenti anche da diversi decenni. È qui che possono svolgere un ruolo fondamentale, date le loro caratteristiche, le imprese sociali: «Non come semplici erogatori di servizi – ha affermato Stefano Granata, presidente del Gruppo cooperativo Cgm – ma come facilitatori nella costruzione di piattaforme che diano risposte in termini di socialità e condivisione». Sulla stessa lunghezza d’onda le parole di Giuseppe Guerini, presidente di Federsolidarietà: «Serve pensare a un welfare comunitario – ha sottolineato – che costruisce reti sul territorio a garanzia della tenuta del patto sociale. Anche elaborando forme di risposta non monetarie. Perché non tutto si regge sullo scambio monetario». © RIPRODUZIONE RISERVATA
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