lunedì 5 ottobre 2020
A Messina è stato siglato da 19 realtà il Manifesto che unisce i firmatari in una visione condivisa in grado di trasformare la società
Verso la rete per i beni comuni
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Al termine della prima assemblea nazionale per il lancio di una Rete permanente dei “Beni comuni” di Messina è stato presentato il Manifesto per la “Costituzione di una rete permanente per i beni comuni, la conversione ecologica e le generazioni future”. Un documento firmato da Alleanza della Generatività, AlterLab, Associazione CommON, Asvis, Comitato Rodotà, Confcooperative-Federsolidarietà, Favara Cultural Park, Fondazione Finanza Etica, Fondazione Horcynus ORCA, Fondazione Riusiamo l’Italia, Forum delle Associazioni Familiari, Forum del Terzo Settore, L’incontro, L’Italia che cambia, On! Impresa Sociale, Vita, R&P Legal, Slow Food Italia, Social Innovators Community e Fondazione Symbola. I beni comuni – spiega il documento – sono “utilità funzionali all’esercizio dei diritti fondamentali e dei doveri di solidarietà sociale, nonché al libero sviluppo di ogni persona”. “Ai primi di marzo, proprio all’inizio della pandemia, una ventina di organizzazioni provenienti anche da mondi di riferimento e sistemi di competenze molto diversi tra loro, hanno deciso di mettersi insieme per progettare un “pezzo di futuro” del Paese”. Le organizzazioni ritengono che su poche questioni fondamentali per il Paese sia necessario “andare oltre” le proprie posizioni di parte, ovvero aggregare i contributi di tutti per realizzare una nuova visione comune in grado di trasformare la società. Uno di questi ambiti prioritari riguarda i cosiddetti beni comuni, che esprimono utilità funzionali all’esercizio dei diritti fondamentali e dei doveri di solidarietà sociale di ogni persona. L’ambizione è quella di costruire una rete permanente che si occupi sviluppare tali beni, tutelandoli sia dalla depauperazione di una amministrazione pubblica sempre più in ristrettezze economiche ed in crisi di progettazione e sia dalla speculazione privata, precisano i firmatari. Tutto ciò per “costruire nuove forme economiche” e “un nuovo sistema sociale in cui la responsabilità delle comunità ritorni ad essere centrale nella vita dei territori e che sia in grado di attrarre competenze e risorse finanziarie dal pubblico, dal privato e dalla collettività”. Questo richiede un nuovo protagonismo dei cittadini come singoli, ma soprattutto come comunità. I beni comuni sono beni “relazionali” e riguardano il capitale naturale (come acqua, suolo, sottosuolo ed aria), il patrimonio culturale e paesaggistico, le infrastrutture fondamentali per i cittadini, il capitale umano e la conoscenza (informazione, educazione, scuola, famiglia, comunità), il welfare, la qualità della vita nelle città, la giustizia e la tutela della privacy e dei profili digitali personali.

I 10 punti del Manifesto

1. I Beni Comuni esprimono utilità funzionali all’esercizio dei diritti fondamentali e dei doveri di solidarietà sociale, nonché al libero sviluppo di ogni persona. In senso allargato i beni comuni riguardano il capitale naturale (es. acqua, suolo e sottosuolo, aria), il patrimonio culturale e paesaggistico, le infrastrutture fondamentali per i cittadini, il capitale umano e la conoscenza (informazione, educazione, scuola, famiglia, comunità), il welfare, la qualità della vita nelle città, la giustiziae la tutela della privacy e dei profili digitali personali.

2. A fianco all’economia dello stato (statalismo) e quella del libero mercato (liberismo) la rete intende promuovere una nuova economia comunitaria a controllo diffuso, che sia sostenibile e generativa per le attuali generazioni, senza gravare sulla qualità della vita delle generazioni future e sugli ecosistemi. Tale forma economica intende tutelare i beni comuni da politiche speculative e di breve, aiutandone l’identificazione, la valorizzazione, lo sviluppo e l’accesso a tutti e per tutti.

3. Una nuova politica sui beni comuni riunisce in modo equilibrato diverse dimensioni dell’essere umano: economica, sociale, relazionale, democratica e spirituale, favorendo una nuova relazione responsabile con la dimensione dell’avere ed aprendo al protagonismo delle comunità in un nuovo spazio di relazione “tra”e “oltre” pubblico-privato.

4. Il sistema valoriale italiano ed in larga parte anche europeo è tradizionalmente comunitario (es. mutue, misericordie, forme di cooperazione e popolari). Noi vorremmo rigenerare nelle sue forme istituzionali e culturali, la tradizione comunitaria per adeguarla ai nostri tempi e alle nostre sensibilità anche utilizzando l’innovazione tecnologica in modo funzionale all’interesse di molti e contenendo la leadership di pochi. Tale tradizione rigenerata vorremmo svilupparla facendone una buona pratica italiana da offrire come modello alternativo ad una riflessione internazionale in ambito economico e sociale.

5. L’economia dei beni comuni pur essendo aperta al pluralismo delle forme (pubbliche, non profit, profit responsabili) richiede sempre la capacità di generare un beneficio nell’interesse generale del popolo e delle generazioni future, tramite sistemi di partecipazione che consentano un controllo sociale trasparente.

6. Riteniamo che oggi sia urgente operare una trasformazione profonda delle istituzioni pubbliche nazionali per evitare che la pressione sui conti statali, da un lato, e atteggiamenti predatori in ambito economico, dall’altro, possano pregiudicare in modo irreversibile la vita delle persone attuali e future. Una nuova politica partecipativa sui beni comuni potrà aiutare questa trasformazione verso un benessere diffuso.

7. Analogamente, a valle delle crisi del 2008 e del 2020, si rende anche necessario favorire la trasformazione dei modelli di globalizzazione a struttura fortemente verticistica e attivare una nuova partecipazione e protagonismo delle comunità e dei territori (abitanti, soggettività civiche, imprese, pubbliche amministrazioni locali) nelle scelte in materia economica e sociale.

8. Siamo convinti che un continuo confronto democratico e nuove alleanze tra soggetti diversi per cultura, competenze ed interessi rappresenti una condizione necessaria per operare questa conversione ecologica del tessuto sociale ed economico.

9. L’unione delle forze e delle capacità di organizzazioni private e pubbliche che condividono e promuovono questa nuova visione, diventa fondamentale per modificare concretamente le politiche nazionali ed internazionali, soprattutto quelle relative ai beni comuni più rilevanti dal punto di vista patrimoniale, economico e sociale (es. costruzione di un nuovo welfare europeo, priorità sugli investimenti infrastrutturali).

10. La Rete dei Beni Comuni intende presentarsi come una piattaforma (comune, appunto) per realizzare uno scarto culturale e orientare l’agenda futura, fare divulgazione ed informazione sui beni comuni, rendere efficaci e trasparenti i processi partecipativi di democrazia diretta, utilizzare il diritto in modo strategico e contro-egemonico, proporre un nuovo paradigma nella gestione dei Beni Comuni anche come nuova e innovativa collaborazione pubblico-privato per il rilancio di settori fondamentali per la nostra coesione pacifica, valorizzare e condividere le migliori esperienze locali o settoriali sviluppate dalle organizzazioni aderenti ed infine scalare l’approccio delle singole organizzazioni per la tutela dei beni comuni più rilevanti a livello nazionale ed internazionale che richiedono risorse e capacità acquisibili solo attraverso una collaborazione sistematica tra più soggetti. Immaginiamo la rete come processo costituente di una nuova sensibilità e di nuove istituzioni del “comune“, improcrastinabile e decisivo per una genuina ed efficace inversione di rotta.

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