martedì 14 novembre 2017
L'agenzia di rating attesta il default selettivo di Caracas. Ora Maduro ha due possibilità: o trova un accordo con l'opposizione o si fa salvare da Russia e Cina
Per Standard & Poor's il Venezuela è fallito
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La crisi venezuelana sta entrando nella sua fase più drammatica: il governo di Caracas non è più in grado di pagare i debiti. Scaduti i trenta giorni di “grazia” in cui i creditori di due bond venezuelani in scadenza nel 2019 e nel 2024 sono rimasti in attesa del pagamento delle cedole da 200 milioni di euro che scadevano a metà ottobre, ieri Standard & Poor’s ha constatato che il governo di Nicolàs Maduro non pagherà. Quindi ha tagliato il giudizio sui 60 miliardi di dollari di debito pubblico del paese dal livello CC, usato quanto l’eventualità di un’insolvenza è considerata una «virtuale certezza», al livello SD, che sta per default selettivo: significa che l’agenzia pensa che il debitore abbia scelto di non pagare alcuni dei suoi debiti ma di continuare a onorarne altri. Il default pubblico viene dopo quello della compagnia petrolifera nazionale, Petróleos de Venezuela, che il 2 novembre ha mancato due pagamenti da 250 milioni di dollari.

Si capirà nel giro di poche settimane quanto, e quali creditori, Maduro abbia intenzione di rimborsare. La convocazione di un gruppo di fondi internazionali, questo lunedì, ha portato a un incontro grottesco. Un centinaio di rappresentanti dei fondi che hanno comprato le obbligazioni venezuelane sono stati accolti con il saluto di onore e hanno ricevuto in omaggio una borsa con cioccolato e caffè venezuelani. Dopodiché sono stati ricevuti dal vicepresidente Tareck El Aissami, un personaggio che gli Stati Uniti considerano un signore del narcotraffico internazionale. Da febbraio ai cittadini e alle imprese americane è vietato trattare con lui. El Aissami comunque non ha negoziato molto: ha liquidato gli ospiti nel giro di mezz’ora non offrendo dettagli sulle intenzioni del governo. Ha invece attaccato Donald Trump e gli Stati Uniti accusandoli di essere la causa del dissesto del paese.

Certamente Trump ha accelerato la bancarotta con le nuove sanzioni, introdotte in agosto, che limitano la possibilità di acquistare e scambiare titoli venezuelani sul mercato americano. Questo significa, per esempio, che se Maduro dovesse proporre nuove obbligazioni in cambio di quelle vecchie, un fondo statunitense non potrebbe accettare per legge. L’origine della crisi venezuelana però è stata provocata dalla caduta del prezzo petrolio negli ultimi tre anni, che ha reso insostenibili le enormi spese pubbliche introdotte nell’era di Hugo Chávez. A pagare il prezzo di questa crisi è la popolazione: tutto è razionato, dal pane alla carta igienica. Metà deio bambini venezuelani, ha denunciato la Caritas locale a maggio, sono in uno stato di malnutrizione.

Evitare la bancarotta di Stato è ancora possibile. Le sanzioni europee, introdotte lunedì per la crisi della democrazia nel paese, puntano a costringere il governo a trovare un accordo con l’opposizione così da riottenere credibilità all’esterno. Anche gli Stati Uniti potrebbero sollevare le sanzioni sui nuovi bond se questi fossero accettati anche dall’opposizione. Per oggi è previsto un vertice governo-opposizione nella Repubblica Dominicana. Dall’altro lato Maduro prova a farsi aiutare dagli amici di sempre: la Cina e la Russia. Oggi potrebbe annunciare un patto con Mosca per rinegoziare 3 miliardi di dollari di debito.




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