giovedì 17 settembre 2009
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Le le aziende non hanno mandato i lavoratori a casa lo scorso anno, quando eravamo in piena crisi, perché dovrebbero farlo nei prossimi mesi?». L’economista Giacomo Vaciago, professore all’Università Cattolica di Milano, smonta i dati dell’Ocse e dice chiaramente: «L’allarme disoccupazione per l’Italia è eccessivo».Scusi professore, le grandi istituzioni internazionali hanno parlato di problemi per l’occupazione. Perché in Italia non dovrebbe andare così?Non dico che non ci siano problemi. Dico che l’industria italiana stringerà i denti ma non licenzierà. Le aziende del made in Italy hanno bisogno dei loro operai e della manodopera specializzata per ripartire. Non possono permettersi di licenziare.Eppure l’Ocse sembra sicura.L’analisi dell’Ocse parte da questo principio: siccome la produzione è crollata del 20% anno su anno a luglio, se si applica qualunque elasticità occupazione-produzione ci sono o saranno un milione di disoccupati in più. Questo è accaduto in Usa e Spagna. Ma non nel resto dell’Ue e per nulla in Italia. Per l’Ocse quello che non è successo, succederà. Come se, lo dico provocatoriamente, i disoccupati e le aziende stessero dormendo in questi mesi.Secondo lei, dunque, l’Italia è un caso a sé?Esattamente. Stati Uniti o Spagna hanno un reale mercato del lavoro, fortemente flessibile, che all’indomani del fallimento della Lehman Brothers ha avuto ripercussioni immediate. L’Italia no. C’è sempre una cosa che scordiamo: nel 2009 abbiamo avuto una crisi manifatturiera che ha colpito le aziende più sane, le migliori del made in Italy. È stata una crisi subita, non voluta e che non abbiamo meritato. Le industrie sono rimaste in apnea per la paura del rischio di controparte non per deficienze loro. Nel nostro Paese l’area che doveva subire il colpo peggiore era il trapezio industriale Torino - Trieste - Ancona - Firenze, ma qui le imprese non hanno licenziato visto che per questioni demografiche i buoni operai sono scarsi e per competenze difficilmente sostituibili. Abbiamo avuto dei precari con contratti non rinnovati, qualche alleggerimento di organico e molta cassa. E se il tracollo non c’è stato in questi mesi – gravando sui bilanci dell’Inps e delle aziende che sono andate in rosso pur di resistere – non credo accadrà adesso.Ma l’Italia è anche fatta da altre realtà...Certo. C’è un Nord, in cui abbiamo e continueremo ad avere una disoccupazione a livelli fisiologici dell’1-2%. E c’è invece un Sud in cui la disoccupazione è strutturale e non c’entra niente con la crisi. Il tasso di disoccupazione italiano, purtroppo, è la media fra queste due parti.Per lei insomma la ripresa è partita?La ripresa c’è e sarà lenta e difficile. Per questo non bisogna abbassare la guardia. Oggi occorre continuare con un uso intelligente degli ammortizzatori sociali, realizzare opere pubbliche e incentivare gli investimenti. Per tornare ai livelli di un anno fa occorreranno però anche due anni. Qualche crisi aziendale da qui a maggio potrà ancora esserci. Qualcuno perderà il posto e ci sarà chi non parteciperà alla ripresa. Non è tutto perfetto, ma non confondiamo il mondo altrove con l’Italia. Un paese molto strano che chi non conosce non capisce.Chi trainerà la ripresa?Saranno Cina e India la locomotiva mondiale. Per la prima volta nella storia, le economie emergenti saranno quelle che ci traghetteranno fuori dall’emergenza. Loro sono in ripresa già da aprile. Adesso tocca a noi.
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