sabato 28 dicembre 2019
A oggi, circa 1 milione e mezzo di lavoratori sono impiegati a vario titolo nel business delle rinnovabili, cifra che potrà espandersi
Marco Brun, amministratore delegato Shell Italia

Marco Brun, amministratore delegato Shell Italia

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C’è unanime accordo tra i commentatori nel ritenere che la sfida principale che l’Europa dovrà fronteggiare nell’immediato futuro riguarda il ruolo che saprà ritagliarsi per non rimanere schiacchiata nella competizione Usa-Cina, da un lato, e da un vicino di casa come la Russia, dall’altro. Da qui l’importanza di costruire un’Europa coesa, un’Europa unita non solo a livello burocratico ma più ancora a livello fattuale, concreto. Insomma: un’Europa delle reti. L’energia gioca un ruolo fondamentale. La lotta al cambiamento climatico ha posto in modo chiaro i termini della sfida: soddisfare i nostri bisogni energetici e quelli delle generazioni future, destinati a crescere, diminuendo allo stesso tempo le emissioni di CO2. Si tratta di una sfida enorme, nella quale la crescita economica deve bilanciarsi con la cura per la nostra casa comune, l’ambiente che ci circonda. Ma soprattutto si tratta di una sfida che dovrebbe stare in cima alle priorità di tutti, dai governi al singolo cittadino. Eppure, non è così, basta guardare i risultati di COP 25. Non stiamo facendo abbastanza.

Siamo tutti d’accordo che la parola d’ordine per rispondere alla sfida del cambiamento climatico è "decarbonizzazione". Ma deve essere altrettanto chiaro che decarbonizzazione non vuol dire solo cambiare il modo di produrre energia, quanto trasformare l’intera economia. Questo implica un’azione coordinata e incisiva su tutti i settori della vita economica e sociale, con il coinvolgimento attivo di tutti gli attori. Da questo punto di vista, è da salutare con favore – fermo restando che poi si dovrà vedere la fattibilità e la sostenibilità economica – l’impianto concettuale dell’European Green Deal, che prevede azioni e interventi a 360 gradi. I tempi non saranno brevi, non si tratta di accendere o spegnere un interruttore ed è utopico pensare che simili trasformazioni possano accadere domani. Non è questione di mesi o di anni ma di decenni, appunto perché è l’economia nel suo complesso e i nostri stili di vita che devono cambiare. E dove gli idrocarburi – che insieme al carbone soddisfano l’80% del fabbisogno mondiale di energia – continueranno ad avere ancora a lungo un ruolo cruciale soprattutto nel settore dei trasporti e dell’industria pesante. Anche perché vanno tenute conto le ricadute sociali della transizione energetica. A oggi, circa 1 milione e mezzo di lavoratori sono impiegati a vario titolo nel business delle rinnovabili, cifra che potrà espandersi grazie alla fase di transizione. La situazione cambia radicalmente se si considera la quota di lavoratori la cui attività è legata in maniera indiretta alle fonti energetiche tradizionali, come nel caso delle industrie energy intensive e dell’automotive: parliamo di decine di milioni di lavoratori che vedranno sparire o cambiare radicalmente la propria attività, distribuiti in maniera non omogenea sul territorio. Inoltre, la Commissione Europea ha evidenziato che i costi 'puri' legati alla trasfor-mazione del sistema energetico ammonterebbero al 2,8% del Pil da qui al 2035. Si tratta di un valore che va dai 175 ai 290 miliardi di euro all’anno per venti anni. Da qui la domanda su quale sia il grado di sacrificio che i cittadini sono disposti ad affrontare per contrastare il cambiamento climatico. Una sfida enorme, ma anche l’opportunità per l’Europa di essere leader nell’ambito della transizione energetica e della lotta al 'climate change'. Forse questa potrebbe diventare addirittura la sua stessa ragion d’essere.

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